Charlie Plummer nei panni di Charley Thompson ha un volto, una figura presente e afflitta come quella di River Phoenix in “Vivere in Fuga”, film di Sidney Lumet del 1988.
Quello di Charley non è propriamente un girare a vuoto, perché la sua direzione è ben decisa e mostrerà alla fine i frutti di un percorso di formazione, attraverso un lungo viaggio on the road spinto dalla necessità viscerale di trovare il proprio spazio in un luogo che sia a lui più familiare del costante andirivieni che ha vissuto sino ad ora. Quindici anni spesi in famiglia, tra una madre che lo ha abbandonato e un padre con un un’affettività ed un lavoro precari.
L’affetto è una dimensione da cui rifuggire per non dipendere da nessuno, per non affezionarsi, almeno è così che a Charley è stato detto, ed è così che funzionano le dinamiche tra le persone che lo circondano, lì a Portland, Oregon, una delle tante case che lo hanno visto crescere nel senso di provvisorietà.
Charley si avvicina minimamente alla stabilità, trovando un piccolo lavoretto per il lunatico allenatore di cavalli Del Montgomery (Steve Buscemi), grazie al quale conosce Lean on Pete, cavallo di cinque anni con cui instaura un rapporto davvero speciale ed insolito, finendo per affezionarsi a dispetto di tutti gli avvertimenti.
Interessante è la delicatezza e la distanza che Charley frappone fra sé e il cavallo, preferendo assecondarlo e curarlo senza volerlo mai montare: un approccio che si differenzia molto dall’assertività maschile della figura paterna, troppo assente perché l’affetto nei confronti del figlio possa esercitare una qualsiasi influenza. Differenza che è flagrante anche rispetto alla relazione che si viene a creare con l’incoerente figura di Del, dapprima porto di approdo, poi rivelatosi nella sua natura fin troppo meschina e opportunista.
Differenziazione nel confronto di genere che appare evidente anche con la figura femminile di Bonnie (Chloe Sevigny), fantino che lavora con Del, più interessata al profitto delle sue vincite che ai cavalli con cui corre, e quella di Margie, la zia di Charley allontanatasi da lui a causa di alcuni screzi con il padre, fonte di amore e sicurezza per l’adolescente, elementi che seppur carenti, non impediscono al suo coraggio e alla speranza di rimanere saldi.
Solido nel suo cinema rimane anche Andrew Haigh alla continua ricerca di una risposta allo spaesamento dei suoi personaggi, molto spesso calati nella dimensione di un presente che non prende mai forma, influenzato perennemente da segni provenienti dal passato: la lettera destinata a Geoff (Tom Courtenay) con una sconvolgente rivelazione destinata a mutare qualsiasi dinamica relazionale in “45 anni” o la stessa morte del padre di Charley che riapre ferite e legami con il trascorso, riaccendendo in lui la necessità di un avvicinamento con la lontana zia Margie.
E’ dunque la morte a spingerlo a muovere(si) (nel)la staticità del presente semplicemente raccogliendo pezzi di sé stesso, le poche cose a cui è affezionato, il cavallo Lean on Pete (Del stava per svenderlo perché ritenuto “difettato”), per intraprendere una folle corsa notturna dapprima in un furgone rubato, poi a piedi nel deserto.
Si stabilisce quindi una relazione di scambio continuo tra natura e morte, la stessa che inghiottirà improvvisamente il cavallo, in una sequenza sconvolgente che applica un taglio netto con il passato, per aprire un abisso laddove erano trattenuti tutti i sentimenti di Charley.
Sentimenti finalmente liberati e aperti anche alla sofferenza o all’incertezza, ma senza dubbio vivi, non più congelati come gli affetti a lui negati, oppure come il corpo di Katya, segno della discordia per la coppia Rampling-Courtenay nel bellissimo “45 anni”.