Prodotto dalla torinese Stefilm (Stefano Tealdi, Elena Filippini, Edoardo Fracchia) e dalla tedesca Zdf, in collaborazione con Arte e Rai Cinema, e con il supporto del MIBACT e del Piemonte Doc Film Fund, My Home in Lybia prende le mosse da una storia personale per scandagliare un presente universale.
Il colonialismo italiano in Libia fa parte di un grande rimosso nazionale, ostentatamente dimenticato come un trauma o una macchia. Ed è ancora un trauma parlare del colpo di Stato di Gheddafi del 1969, della cacciata degli ultimi coloni nel 1970, del sequestro di tutti i beni mobili e immobili degli italiani stanziati a Tripoli. Per chi è sopravvissuto rimane soltanto il ricordo di un’onta, ma anche di una stagione dorata vissuta in una metropoli senza tempo, piena di popoli e lingue. La regista Martina Melilli appartiene a una di queste generazioni disperse, figlia e nipote di italiani nati e cresciuti in Libia. Partendo dalle memorie del nonno Antonio, Martina traccia una mappa di luoghi appartenuti a quel tempo passato, rintracciandoli nella Tripoli di oggi e facendoli ripercorrere a Mahmoud, un giovane libico conosciuto sui social che le invia foto e video della città. Lentamente il passato si lega al presente, e il presente si rivela con violenza nella storia di un Paese distante, senza più il senso di comunità. Lo scambio epistolare sui social tra Martina e Mahmoud si fa sempre più costante, dando inizio a una vera amicizia e rivelando due aspetti di una stessa generazione nata nello stesso periodo storico ma separata da un tratto di mare.
Attraverso una colonna sonora minimale e continue immagini che si sovrappongono, tra la multimedialità del presente e le fotografie del passato, Martina Melilli organizza una ricerca approfondita delle proprie radici, muovendosi all’interno di un mondo frammentario. E allo stesso tempo, spostandosi da una memoria a più memorie, da un racconto individuale a un racconto corale, ricostruisce il quadro di una Storia, dell’Italia in Libia e della Libia stessa, non ancora raccontata.
Martina Melilli, classe 1987, artista e filmmaker di origine veneta, con una Laurea in Arti Visive all’Università IUAV di Venezia e una specializzazione sul cinema documentario e sperimentale alla Luca School of Arts di Bruxelles, si è già fatta notare grazie ai suoi lavori precedenti tutti caratterizzati da una ricerca artistica che utilizza più linguaggi, dal documentario alla fotografia, dai materiali d’archivio al video. Con l’opera video Mum I’m sorry si è aggiudicata l’edizione 2017 di ArteVisione – il progetto di Careof e Sky Academy, in collaborazione con Sky Arte HD e in partnership con il Museo del Novecento, a sostegno della scena artistica italiana.
My Home, in Libya – vincitore di uno dei premi in-kind dell’Atelier del Milano Film Network 2017 – fa parte di un progetto più ampio, Tripolitalians, nato nel 2010 come tesi di laurea specialistica, sorta di work in progress mirato a una ricostruzione di memorie e alla costruzione di un archivio multimediale della comunità libico-italiana sparpagliata per l’Italia dopo il colpo di stato di Gheddafi del 1969. Da questo progetto sono usciti nel 2014 una mostra presso la Mediateca Regionale Pugliese di Bari e nel 2015 il cortometraggio Il quarto giorno di scuola presentato in anteprima assoluta al Rotterdam Film Festival che documenta in prima persona il quarto giorno di scuola di un bambino appena emigrato dalla Libia, a pochi giorni dall’arrivo sulla penisola italiana.
My Home, in Libya debutta in selezione ufficiale nella sezione ‘Fuori Concorso’ del festival di Locarno dedicata a opere recenti (cortometraggi, film saggi, lungometraggi di finzione o documentari) firmate da registi di rilievo e presentate in prima mondiale o internazionale.
Sinossi
Girando con la macchina da presa nella casa dei nonni vicino a Padova, la regista traccia una mappa dei luoghi che appartengono al loro passato. Antonio, nato in Libia all’epoca in cui era una colonia italiana, ha vissuto a Tripoli e lì ha sposato Narcisa. Nel 1970, con il colpo di stato di Gheddafi, lui e la moglie sono stati costretti ad abbandonare il paese in tutta fretta. Con l’aiuto di un giovane libico contattato tramite i social network, Martina raccoglie immagini della città natale dei suoi nonni così come si presenta oggi. Grazie allo scambio di foto e alla chat il loro rapporto si approfondisce: internet permette di superare i confini fisici e culturali che separano le loro vite.