Nella città che lo “sterminator” Vesuvio fermò nel tempo duemila anni fa, fra i calchi di gesso contorti nello spasmo della morte e le antiche strade dalle larghe pietre di basalto, solo due voci restarono impresse nel magnetofono di Alarcón, quelle di un uomo e di una donna che parlavano in inglese. Fu allora che l’uomo capì: nel 1953, in quei luoghi, Rossellini aveva girato Viaggio in Italia.
“ Se il dispositivo di registrazione del suono può catturare le voci del passato, il supporto cinematografico potrebbe catturare le immagini nello spazio ”, questo fu il suo pensiero.
Nel maggio 1981 tornò a Pompei e sostituì il magnetofono con una super8. Si avvicinò a tutti i luoghi dove aveva registrato e impressionò metri di pellicola. Avrebbe catturato il fantasma degli attori e le loro voci.
“ La storia di César torna indietro di decenni nel passato o forse entra nel futuro. Dove lui è ora il tempo è un’immensità senza senso ”, dice la voce esterna.
Un tempo, il passato, da rievocare nella sua permanenza, e un tempo “altro”, non meno reale, legittimato dal cinema, è quello che trent’anni dopo Samuel Alarcón riprende a filmare partendo dalle sperimentazioni del padre.
Nasce così la “ Città dei segni”, spazio filmico in cui tracce di storie pregresse riappaiono in trasparenza, realtà più vera del vero perchè legata ad una irrevocabilità sottratta alla perdita, sostanza fantasmatica eppure tangibile nella sua qualità di eterno presente.
“En la ciudad de los signos, el tiempo es una magnitud que carece de sentido”, afferma Samuel Alarcón. Il tempo non ha più senso nella “Città dei segni”, confluisce nello spazio simbolico in cui la vita si sottrae al suo instancabile processo di erosione e diventa memoria, ascolto, visione.
E’ il cinema di Rossellini, con i luoghi chiave di Viaggio in Italia, Roma città aperta, Stromboli, terra di Dio, Paisà, Europa 51, quello scelto dal regista a sostegno del suo teorema.
Film che appartengono alla memoria collettiva hanno lasciato segni silenziosi nei luoghi utilizzati per scene famose, come le impronte dei corpi a Pompei, che continuano a testimoniare la presenza di uomini e donne nell’ultimo gesto della loro vita.
Il gesso colato nei calchi ridà consistenza materica a quel popolo di morti, i frames cinematografici in sovraimpressione costruiscono una città parallela, fra i vivi e i morti. La trasparenza incolore dei corpi si sovrappone ai colori forti dei luoghi del presente, la “Città dei segni” diventa lo spazio dove tutto accade di nuovo, ininterrotto loop della vita dove il tempo non ha più potere.
I personaggi di Rossellini tornano a muoversi sullo schermo come segni audiovisivi lì dove sono nati, da Roma a Napoli, da Cuma a Capri e Pompei, da Stromboli a Ischia, a Maiori, a Positano ed Amalfi, come “cenere lieve del vissuto ”*.
Ingrid e Anna riprendono il loro posto a Stromboli e Vulcano, Nannina / Anna Magnani pascola ancora caprette e raccoglie fascine sulle pendici della penisola sorrentina, mentre San Giuseppe, alias Fellini, si avvicina sorridente e sornione col suo fiasco di vino. Sulla scala sacra di Maiori continuerà per sempre ad arrampicarsi il fantasma gravido e sofferente della povera Nannina, ma attraverso la porta chiusa del convento in cima alla salita il leggero ectoplasma riuscirà ad entrare.
Il sole illumina ogni anno, nella “Città dei segni”, la ricorrenza del falso dissotterramento dei calchi del Criptoportico pompeiano, riesumati nel 1915 e da allora chiusi in teche di cristallo per la curiosità dei turisti.
Quei corpi tornarono alla luce ancora una volta nel 1953, all’incrocio fra la XIVesima e la XVesima strada, per volontà di Rossellini che filmò dall’alto di un masso la polvere che il pennello dell’archeologo spazzava via dai volti riaffioranti.
Le voci sussurranti in inglese del magnetofono di César riprendono forma e vita, la coppia in crisi di Viaggio in Italia si muove fra le strade e le case di Pompei.
Riappaiono i fantasmi, George Sanders continua a non capire la fragilità della moglie, Ingrid Bergman, che piange sconvolta davanti a quei calchi. Ormai pronti al divorzio i due si allontanano dagli scavi, nella calca della processione in paese avviene il miracolo della riconciliazione ma intanto i fedeli guardano in alto nel cielo e assistono ad un miracolo vero, una mdp piazzata sopra una gru con il regista/demiurgo che gira.
Una delle invenzioni di ripresa di quel regista folle e geniale, membro onorario della “Città dei Segni”, sta aprendo la strada al cinema del futuro, “ perché lo spazio ha memoria e le storie tornano sempre a vivere ”.
E allora Ettore Garofalo continuerà per sempre a vagabondare nelle periferie pasoliniane dinoccolato e svogliato, per piazza del Pantheon passerà ancora Umberto D e accarezzerà il cagnetto randagio, “ogni ricordo fotografico è un mattone nel muro della Città dei segni, e così, frame su frame, segno su segno la città è cresciuta dietro i vivi e i morti”.
Il personaggio di Samuel che appare a tratti sulla scena con la cinepresa in mano è reale, la sua presenza si alterna agli attori di Rossellini, il regista “ scolpisce il tempo” e legittima la permanenza delle immagini in una parabola che unisce il passato al futuro per rispondere alla domanda:
“ Quante storie ci sono in una piazza? Nella Città dei segni lo spazio ha memoria e tutte le storie sono vive ”.
Nella “Città dei Segni” esiste solo un passato/presente.
“ Rossellini ha raggiunto la “Città dei segni” cercando la verità attraverso i film, molti hanno continuato lungo la strada che ha aperto costruendo nuove strade, piazze e sempre nuove città. Altri come César volevano capire la città, studiare la sua vera natura e la città ha assorbito questo desiderio come un altro elemento dentro di sé…”
La voce fuori campo chiude infine il viaggio della memoria:
“ Tempio dello spirito, non più corpo ma pure, ascetiche immagini.
Quando Rossellini incluse questo verso nel film pensava all’essenza del cinema”.
____________________
•Christoph Ransmayr