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The Square di Ruben Östlund – Cannes 70

Christian è il noto curatore di un museo di arte contemporanea, divorziato ma padre devoto, guida un veicolo elettrico ed è attento alle cause solidali. La sua prossima mostra si chiama “The Square”, installazione che invita gli spettatori di passaggio all’altruismo, richiamando il loro ruolo come parte di una comunità di esseri umani. Ma non è sempre facile vivere i propri ideali e la folle reazione di Christian nei confronti del ladro che si è portato via il suo telefono, lo fa sprofondare in una serie di imbarazzanti situazioni. Nel frattempo, l’agenzia di comunicazione del museo ha appena lanciato una poco usuale campagna di promozione per “The Square”. Il museo e Christian sprofondano in una crisi esistenziale.

Nel 2008 la prima comunità seclusa sperimentata in Svezia si protegge in un’area residenziale accessibile solo dai proprietari delle abitazioni. È un esempio estremo delle modalità con cui alcuni gruppi privilegiati si separino dalla realtà e anche uno dei molteplici segni che ci fanno riflettere sul crescente individualismo che sta emergendo nei paesi europei, proprio in parallelo alla crescita del debito pubblico, alla riduzione dei diritti e dei benefici sociali e alla crescita esponenziale del divario economico tra fasce diverse della popolazione. Persino nell’egualitaria società svedese, la crescita della disoccupazione e la paura del declino ha fatto emergere sentimenti di sfiducia e sospetto.
Interessato da sempre al ruolo dello spazio pubblico e al modo in cui gli individui stanno perdendo la loro capacità di gestirlo, il regista di Play e Forza Maggiore racconta la perdita di coesione da parte della collettività, sviluppando l’idea del suo nuovo film insieme a Kalle Boman e partendo quindi da un progetto artistico tout court che aveva già consentito loro di esplorare la fiducia nella società e nei valori ad essa connessi.

Il titolo del film proviene infatti dal progetto dei due artisti che è stato allestito nell’autunno del 2014 presso il Vandalorum Museum nel sud della Svezia. La mostra esemplificava il consenso ideale che dovrebbe governare la società globale per il bene comune, sfruttando la piazza centrale della città di Värnamo come sede di un’installazione permanente.

Le scelta, semplicissima, che la mostra proponeva era legata alla minore o maggiore quantità di fiducia che siamo disposti ad accordare alle persone. I visitatori potevano quindi scegliere tra due porte; quella sinistra indicava la fiducia nelle persone, la destra la sfiducia. Molti hanno scelto di fidarsi, ma quando gli è stato chiesto di lasciare portafoglio e telefono sul pavimento è cresciuto il senso di disagio, una contraddizione di come fosse difficile agire secondo i principi indicati.

Il film di Ruben Östlund quindi parte da qui, indagando la debolezza dell’animo umano, proprio quando si impegna a compiere la cosa giusta. L’aspetto difficile, ci dice Östlund, non è accordarsi su principi comuni, ma agire in base a quell’accordo.
Quanto mi fido dei barboni? quanto sarei disposto a cambiare il mio tenore di vita per stabilire un nuovo equilibrio rispetto a chi non ha gli stessi privilegi? Queste sono le domande che The Square si pone

Il protagonista del film presenta numerose sfaccettature, è sicuramente un idealista a parole, ma è cinico nei fatti, dimostrando forza e debolezza al contempo. Ruben Östlund in un certo senso crea uno strano cortocircuito con la sua stessa biografia, mettendo un suo allestimento al centro di un dilemma bruciante. Come curatore Christian vuole rompere tutte le barriere culturali e provocare una riflessione coinvolgendo istituzioni e persone comuni. D’altra parte è assolutamente attento alle esigenze di mercato della mostra e quando si troverà di fronte ad un dilemma atroce, le sue azioni personali entreranno in conflitto con i principi promulgati dal suo stesso progetto.
Allo stesso tempo ci viene mostrato in tutta la sua umanità, nel rapporto amorevole che ha con le figlie, parte di questo stesso cortocircuito.
Ruben Östlund ci spinge a riflettere su un precetto socratico che è quello dell’origine individuale e collettiva (il contratto sociale) della giustizia. Nella reciproca obbedienza alle leggi che la società si è collettivamente data c’è una necessaria risonanza con l’equilibrio interiore dell’individuo, anche nel caso di un’anima equilibrata si può parlare di giustizia.

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