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L’Attachement di Carine Tardieu: recensione, Venezia 81

Promiscuo e vitale, L’Attachement mostra altre maternità, altre famiglia, altri attaccamenti rispetto alla prigione di corpi e spirito che le relazioni spesso allestiscono. L'incontro della volontà con il caso può costruire nuovi legami. Sul nuovo film di Carine Tardieu, visto a Venezia 81 nella sezione Orizzonti

Più di un cinema sull’ineluttabilità del destino, quello di Carine Tardieu, qui al suo quinto lungometraggio, è sempre più giocato sulle possibilità che questo dischiude. Il concetto Stoico di lògos contiene tra i numerosi significati che derivano dalla parola, anche quello di legame. Un’informazione genetica che può cambiare l’apparente determinismo degli eventi, con l’azione di una volontà capace di piegarne il corso, attraverso la funzione vitale della relazione con gli altri.
Su questa area grigia tra l’improvviso manifestarsi del caso e la potenza in nuce dello stesso, il cinema francese ha elaborato numerose e stimolanti variazioni, definendo attraverso il flusso di una quotidianità intima, le numerose stratificazioni che può contenere il dialogo nell’unità minima dell’inquadratura. La forza del caso quindi può contenere tutti gli elementi per trasformarne gli effetti in un’esplosione distruttiva, oppure nell’opposta e complementare epifania creativa.
Su questo crinale, tra imprevedibile e capacità di scelta, Claude Sautet per esempio, ha concepito la sua idea di cinema a partire da un film come Les choses de la vie.

Per Carline Tardieu il romanzo di Alice Ferney L’Intimité, diventa l’origine per conservare l’energia di Sandra, il personaggio interpretato nel film da una notevole Valeria Bruni Tedeschi. Centrale, ma per operare un continuo decentramento di prospettive in quello che è un film vitalmente promiscuo e profondamente morale, se per morale intendiamo la capacità di relazionarsi ad una pluralità identitaria, senza attivare il discrimine del giudizio.
La leggerezza de L’Attachement è il planare lieve dello sguardo sulle tragedie della vita, grandi e piccole, anche nel doppio movimento narrativo che mette insieme elaborazione del lutto e continua rinascita in uno spazio coesistente.
Pio Marmaï è Alex. Con la moglie prossima al ricovero per un nuovo parto, è costretto con una certa irruenza a parcheggiare il figlio acquisito da Sandra, la vicina di casa, libraia felice di aver allestito il suo spazio solitario.
Il precipitare degli eventi getta Alex nel dolore del lutto e trasforma in una consuetudine la presenza del piccolo Elliot nell’appartamento di Sandra, vincendo progressivamente le resistenze empatiche della donna.
Nel terremoto emotivo che investe l’uomo ci sarà spazio per numerosi slittamenti del cuore che dall’attaccamento per Sandra si dirigeranno verso l’esplosione passionale per un’infermiera, interpretata dall’incontenibile e vitale Vimala Pons.
In un’altra direzione, mentre la famiglia sembra prender forma intorno ad una nuova coppia nucleare, riemerge il padre naturale di Elliot, uomo assente e apparentemente incapace di affrontare le proprie responsabilità, eppure parte di questo affresco dove gli scarti e i difetti diventano il senso stesso della vita.

La scansione che Tardieu sceglie sono le fasi della crescita della piccola sopravvissuta al parto.
Due anni dove gli incidenti e le trasformazioni sembrano elaborare, attraverso il gesto e la parola, la capacità di allargare i legami contro qualsiasi fortino esclusivo.
Ecco perché la commedia, come grande contenitore situazionale di contrasti, diventa il catalizzatore che invece di cancellare o prendersi gioco del dolore, lo trasforma in un’altra visione rispetto ai capricci del destino.

Questo diventa un fattore esterno, plasmato dalla volontà dei singoli di resistere oppure cedere alle sollecitazioni che la vita propone, non importa se l’origine è un trauma, la volontà di elaborarlo o il blocco che ha causato.

A contatto con gli altri la vita può manifestarsi in tutte le sue potenzialità, sovvertendo i piani, i progetti, le narrazioni individuali, le maternità volute, perse, ma anche negate.
Rispetto al racconto mediale che occupa le pagine della cronaca nera, dove emerge un’idea di famiglia come prigione, capace di provocare il limite estremo della reazione distruttiva, Tardieu ci mostra una piccola e vibrante lezione di promiscuità, sinonimo di empatia per tutte le alterità.

Nella differente provenienza culturale ed esperienziale dei personaggi, i padri e le madri spesso si scambiano i ruoli, anche rispetto all’assetto dei legami cosiddetti naturali.
Lo spazio cameristico del film si allarga allora fino a sostituire la morfologia degli appartamenti nella dimensione possibile della festa collettiva o di un grande parco dove l’attaccamento mostra gli effetti positivi della volontà di esserci rispetto agli accidenti del caso.
Si tratta di un ordine valoriale diverso e più ampio che non concepisce più la famiglia come specchio di un’autodifesa che trattiene e costringe spirito e corpi entro le ipotesi scaturite dal potere.
Attaccamento allora come vicinanza all’altrui libertà e ad un cinema semplice e diretto, ma non per questo meno ricco e centrifugo.

L’attachement di Carine Tardieu (Francia, Belgio 2024 – 106 min)
Interpreti: Pio Marmaï, Valeria Bruni Tedeschi, Vimala Pons, Raphaël Quenard, César Botti
Sceneggiatura: Carine Tardieu, Raphaële Moussafir, Agnès Feuvre
Fotografia: Elin Kirschfink
Montaggio: Christel Dewynter

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Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.
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