venerdì, Novembre 22, 2024

Shuiyin Jie di Vivian Qu a Venezia 70: il controllo, tra affetti e potere

Li Qiuming lavora come precario per una società Cinese che si occupa di mappature digitali; il suo compito specifico è quello di tracciare le strade della città con una serie di strumenti di rilevazione che sta imparando ad utilizzare; la tecnologia del resto fa parte della sua vita di tutti i giorni, tra videogiochi, cellulari, social network. Oltre a questo lavoro ne fa un altro; installa videocamere di sorveglianza in luoghi pubblici; ed è proprio durante le sue sessioni di rilevameto che incontrerà una giovane ragazza, questa uscirà quasi subito dal suo campo visivo in una piccola strada laterale, ma nel tentativo di mapparla Li Qiuming non riuscirà a registrare i dati del luogo nel sistema digitale a sua disposizione.

Il giorno dopo il ragazzo troverà la carta di credito della ragazza, caduta accidentalmente per terra, oltre a scoprirne quindi il nome incontrerà un uomo, il principale della ragazza, che preleverà la carta al suo posto, ritardando cosi un possibile contatto tra i due. Li Qiuming non si darà per vinto e comincerà ad interessarsi alla strada che non viene visualizzata attraverso i sistemi GPS; proprio nel punto dove ha visto la ragazza scomparire, troverà un palazzo chiamato “Lab 203”, e tornandoci la notte successiva capirà che la ragazza lavora proprio in quel luogo. I due cominceranno a frequentarsi, fino a quando alcuni uomini non sequestreranno Li Qiuming chiedendogli quali interessi ha nei confronti della ragazza e sopratutto,  che cosa sa del Lab 203.

Vivian Qu, cineasta indipendente già attiva come produttrice (Night train e Knitting tra il 2007 e il 2008) debutta nella regia con un film che si rivela sin da subito come una ricognizione nella Cina tecnologizzata, osservata in quel passaggio sottile tra utilizzo privato dei mezzi connettivi e il modo in cui questi vengono assimilati da uno sguardo adibito al controllo; una scissione che la regista cinese guarda con molta lucidità confondendo abilmente le due sfere, come a suggerire che al di quà del confine invalicabile stabilito dal potere costituito, c’è una responsabilità personale legata alla gestione della sfera intima, che sta mutando insieme ai dispositivi di localizzazione ormai introdotti a pieno titolo nell’uso quotidiano.

Li Qiuming in fondo abusa di un punto di vista tecnologicamente privilegiato collegando, letteralmente, un’interfaccia al proprio desiderio; come se le ossessioni scopiche fossero amplificate dalla possibilità di non stabilire immediatamente un contatto, ritardandolo all’infinito e mantenendolo a distanza, ovvero all’altezza dello sguardo di uno stalker virtuale.

Vivian Qu costruisce una progressiva fenomenologia del pedinamento digitale, e in un mondo in cui “non si guardano più le stelle, ma gli schermi” per prendere in prestito una frase di Paul Virilio, ci suggerisce come questa prassi coinvolga tutti quanti nella difficile percezione di un limite non scritto che si è irrimediabilmente assottigliato, sul piano delle possibilità tecniche, proprio nella relazione tra sguardo e desiderio.

Tutti gli incontri tra Li Qiuming e la ragazza, rientrano già nell’ambito del controllo, almeno in quel piccolo vantaggio che il primo si prende sulla seconda, basandosi su informazioni che in una posizione paritaria, non avrebbe potuto ottenere; una vicinanza raggiunta che viene allo stesso tempo risospinta indietro, quando Li Qiuming si dimostrerà impacciato e incapace, almeno ad un primo approccio, a dialogare liberamente con la ragazza, senza la tecnologia a fare da scudo: “hai un profilo facebook?”

Ci è sembrato notevole che Vivian Qu sia partita da una relazione intima per parlare del concetto di libertà nella Cina tra tecnologia e mancanza di libertà fondamentali (ai festival tutti si dimenticano della fisiologia di un regime), proprio perchè una delle migliori vie possibili per parlare di uno sguardo che assume un controllo assoluto sulle scelte delle persone è concepire questo sguardo come una spirale che coinvolge  la dimensione del “vedersi visti”.

Quando la paranoia si impossesserà delle azioni di Li Qiuming, questa modificherà tutta la gestione dello spazio visivo nel film di Vivian Qu; anche se il tentativo di spiegare politicamente i motivi della fallita localizzazione della strada segreta arrivano forse frettolosamente, è sulla sequenza finale che la regista Cinese deturna lo sguardo; come in un noto film di Coppola, La Conversazione, il ragazzo finalmente solo con la ragazza, comincerà a distruggere lentamente la camera; la differenza con il film di Coppola, che in una nota sequenza omologa isolava un uomo in uno spazio famigliare diventato improvvisamente ostile, è offerta da quello specchio attraverso il quale la ragazza, terrorizzata,  guarda Li Qiuming mentre mette la camera sottosopra; la dimensione è ancora una volta quella affettiva, dallo sguardo globale si torna a quello personale, tragicamente e irrimediabilmente compromesso.

 

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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