Human flow di Ai Weiwei film documentario, 140’ – la conferenza stampa a Venezia 74
Fotografia: Ai Weiwei, Murat Bay, Christopher Doyle, Huang Wenhai, Konstantinos Koukoulis, Renaat Lambeets, Li Dongxu, Lv Hengzhong, Ma Yan, Johannes Waltermann, Xie Zhenwei, Zhang Zanbo
Montaggio: Niels Pagh Andersen
Human flow di Ai Weiwei è un documentario che affronta la tragedia dei migranti. Negli ultimi anni circa 65 milioni di persone nel mondo sono state obbligate a lasciare la loro casa a causa di guerre, carestie, povertà, cambiamenti climatici. Questo flusso di migranti è il più grande spostamento umano dalla seconda guerra mondiale. Ai Weiwei lo racconta in conferenza stampa a Venezia 74.
Parte della bellezza di questo film sta nel fatto che ci si sente immersi nella vita dei rifugiati. Concorda?
Risponde il regista Ai Weiwei:
Realizzare un film come Human Flow che tratta della tragedia dei migranti significa necessariamente farsi coinvolgere emotivamente nella storia tragica di queste persone. Mi sono completamente calato in questa dimensione per fare questo film ed anche il pubblico deve provare questo sentimento di immersione.
Questo film è frutto di un lavoro enorme, oltre 300 persone e 22 paesi coinvolti, anche se tutto è iniziato girando con il mio iphone.
Ad Ai Weiwei:
Qual’è secondo lei la soluzione al problema dei rifugiati?
Come prima cosa dobbiamo comprendere che questa non è una tragedia solo di alcune nazioni, è una tragedia umana che tutti possiamo vedere. Siamo tutti collegati, l’umanità è un unicum, tutti siamo coinvolti e solo a partire da questo assunto possiamo trovare una soluzione al problema. Questa è una tragedia per tutta l’umanità dobbiamo fare pressioni sui nostri politici affinchè trattino la situazione come un problema globale di tutta l’umanità.
Huma flow è parte di un percorso artistico più ampio?
Risponde il regista Ai Weiwei. In un certo senso si, lavoro con internet, con i social media, con la scultura, mi occupo di performance artistiche ma anche di comunicazione. Mi sono approcciato al cinema come individuo, pur lavorando per questo film con un team molto ampio. Sono un professionista e come artista sento di avere delle responsabilità, di dover scavare per arrivare all’essenza delle cose, scoprire e ricercare oltre a sperimentare sempre.
Per Ai Weiwei:
molti degli eventi di cui parli nel film sono diventati fatti di cronaca. Pensi che avresti dovuto chiudere prima il film per evitare che gli avvenimenti girati diventassero parte della routine dei mass media?
Si deve sempre prendere in considerazione i nuovi eventi che avvengono.
Quello che è importante per un artista è trovare un linguaggio che sia correlato alla realtà, che sposi la prospettiva storica e narri i fatti, ma che abbia anche una forma estetica ben precisa e definita.
Il film deve stare in piedi con il suo linguaggio specifico sia prima che dopo la sua realizzazione.
Anche un documentario in realtà è un film di “fiction”. Penso di aver fatto un documentario che rispecchia la mia interpretazione dei fatti, ogni visione è sempre una mediazione rispetto alla realtà.
Il film parte dal principio di un’unica prospettiva umana, una visione unitaria, i media ci dividono in etnie, nazionalità mentre noi nel film volevamo mostrare le persone come semplici esseri umani. Non si tratta solo di raccontare ed interpretare una tragedia ma di guardarla come esseri umani, solo così troveremo una soluzione al problema dei migranti.
Ad Ai Weiwei:
ha dei consigli da dare all’italia sulla questione dei migranti? Che opinione si è fatto?
Non ho consigli da dare all’Italia.
Guardo con rispetto a come l’italia, a differenza di altre nazioni europee, ha affrontato la questione dei migranti. Non si tratta di un problema italiano ma di un problema globale di tutta l’umanità e così va affrontato. L’Italia deve essere aiutata da tutte le nazioni.
Nel film sei presente, una sorta di guida, come nasce l’idea?
Faccio parte del film fin dall’inizio – risponde Ai Weiwei – e volevo dare un filo conduttore allo spettatore, creare una storia. Ero in vacanza con mio figlio ed ho iniziato a girare con il mio iphone il dramma dei migranti, è li che è nato il film. Abbiamo girato tantissimo, potevamo fare tanti film diversi ma, in fase di montaggio, abbiamo deciso che c’era la necessità di “costruire” una storia, volevamo un coinvolgimento emotivo completo nel corso del film e volevo dare la sensazione anche di un mio coinvolgimento personale, per questo ho deciso di “mettermi in prima fila”.
Che opinione ha del rapporto tra arte e problemi sociali?
Penso che gli artisti dovrebbero essere sensibili alle condizioni dell’umanità, specie di fronte ad enormi tragedie come quella dei migranti. Penso inoltre che tanti artisti vorrebbero parlare di questi argomenti ma non possono raggiungere il garnde pubblico a causa del comportamento del mainstream. Io sono fortunato, come artista, posso occuparmi di questioni come queste e riuscire a suscitare interesse e a coinvolgere le persone, altri artisti sono meno fortunati di me nel far sentire la loro voce.