mercoledì, Dicembre 18, 2024

Sundown di Michel Franco: recensione, #Venezia78 – Concorso

Franco opta per un minimalismo che investe tutti gli aspetti strutturali del suo film, dalla sceneggiatura alla regia. E lo spoglia anche dei motivi. La recensione di Sundown interpretato da Tim Roth e da una Charlotte Gainsbourg in stato di grazia

Sundown di Michel Franco potrebbe a tratti ricordare quel cinema psicanalitico molto vivace tra gli anni ’60 e gli anni ’70, popolato di personaggi le cui azioni razionalmente incomprensibili andavano interpretate attraverso un’analisi del loro inconscio. Sono i film di Buñuel, di Ferreri, talvolta di Bergman e facendo un passo indietro pure di Hitchcock, in parte.

In Sundown c’è un uomo molto ricco e con tutti i motivi per essere felice, Neil, che da un momento all’altro abbandona la famiglia. Rinuncia a tutto: alle persone che ama, al denaro, persino alla parola, quasi, abbandonandosi a una sorta di atarassia con la quale sembra rigettare qualunque desiderio strutturato. Tim Roth è il volto perfetto di questa pacifica apatia, con quel suo mezzo sorriso triste sulle labbra cui raramente rinuncia. Il suo Neil ha abbracciato l’amoralità. Che non è l’immoralità, cioè la scelta del male, per la quale potrebbe essere giudicato come una persona cattiva; per quanto criticabile non c’è perfidia nel suo comportamento, bensì il rifiuto di una rotta che tenda al bene o al male. Lo si può accusare di ignavia, certo, ma lui ne è pienamente consapevole e ne accetta le conseguenze.

Perché Neil prende quell’ultima decisione di abbandono, per poi scegliere di non scegliere più nulla? Rispetto agli autori citati, Franco opta per un minimalismo che investe tutti gli aspetti strutturali del suo film, dalla sceneggiatura alla regia. E lo spoglia anche dei motivi: Franco ha superato la psicanalisi. Lo spettatore può intuire cosa muova (o non muova) Neil, la sua insoddisfazione (insoddisfazione alto-borghese, per tornare a Buñuel), forse la depressione; ma sono spiegazioni vaghe, mai toccate, così da lasciare spazio a quello che interessa al regista, cioè il corpo flemmatico e indolente dell’uomo messo in uno spazio che occupa passivamente, sia esso un hotel di lusso, una bettola messicana o un carcere.

Suoi contraltari sono tutti gli altri personaggi che attorno a lui si muovono, tutti in preda alle umanissime passioni della vita; spicca tra tutti il personaggio in un certo senso speculare a Neil, la Alice di una Charlotte Gainsbourg che nel poco tempo a sua disposizione si conferma una delle attrici più talentuose della sua generazione.

Per queste ragioni il finale delude pur essendo coerente. Esso offre una ragione specifica agli eventi, e da una parte ciò sembra confutare il senso stesso del film fino a quel momento, che da osservazione di un comportamento umano irrazionale diviene il racconto di un qualcosa di molto preciso (che non si può dire per non fare spoiler), ma dall’altra parte sottolinea il rifiuto delle sovrastrutture psicanalitiche di quei film che sembrano ispirarlo (e forse con questo finale non si può più dire sia così), abbracciando un’interpretazione materialistica della psiche.

Ha però poco senso parlare di “tradimento” di un film da parte del suo stesso autore, soprattutto nel caso di un regista come Franco, che ha pensato e realizzato Sundown come lo desiderava. Quindi il finale, che lo si consideri stonato o meno (personalmente lo trovo tale) va considerato organico.

E infatti il film inizia con una brevissima inquadratura, incomprensibile (per rimanere in tema) fino a pochi minuti dai titoli di coda, quando quei pochi secondi ritornano sullo schermo assumendo a posteriori un valore premonitore.

Sundown è stato accolto piuttosto freddamente qui a Venezia, nonostante il credito di cui il regista messicano gode presso i critici (solo l’anno scorso il suo Nuevo orden vinceva proprio alla Mostra del Cinema il Gran premio della giuria). Forse proprio per quella conclusione imperfetta, o forse a non essere stata apprezzata è la sua essenzialità.

Eppure è proprio questa essenzialità, a partire dalla breve durata (appena un’ora e venti) a rendere Sundown un buon film. Franco non aveva enormi ambizioni, e il suo è “solo” il tentativo di entrare dentro una piccola, inspiegabile vicenda umana, e in questo riesce.

Sundown di Michel Franco (Messico, Francia, Svezia – 2021 – 83 min)
Interpreti: Tim Roth, Charlotte Gainsbourg, Iazua Larios, Henry Goodman, Albertine Kotting McMillan, Samuel Bottomley
Sceneggiatura: Michel Franco
Fotografia: Yves Cape
Montaggio: Oscar Figueroa Jara, Michel Franco
Scenografia: Claudio R. Castelli
Costumi: Gabriela Fernández
Suono: Alejandro de Icaza, Niklas Skarp

Marcello Bonini
Marcello Bonini
Marcello Bonini nasce a Bologna nel 1989. Insegnante, fa il montatore per vivere. Critico Cinematografico, ha scritto per diverse riviste di cinema e pubblicato una raccolta di racconti. Fa teatro e gira cortometraggi.

ARTICOLI SIMILI

Voto

IN SINTESI

Franco opta per un minimalismo che investe tutti gli aspetti strutturali del suo film, dalla sceneggiatura alla regia. E lo spoglia anche dei motivi. La recensione di Sundown interpretato da Tim Roth e da una Charlotte Gainsbourg in stato di grazia

CINEMA UCRAINO

Cinema Ucrainospot_img

INDIE-EYE SU YOUTUBE

Indie-eye Su Youtubespot_img

FESTIVAL

ECONTENT AWARD 2015

spot_img
Franco opta per un minimalismo che investe tutti gli aspetti strutturali del suo film, dalla sceneggiatura alla regia. E lo spoglia anche dei motivi. La recensione di Sundown interpretato da Tim Roth e da una Charlotte Gainsbourg in stato di graziaSundown di Michel Franco: recensione, #Venezia78 - Concorso