Un mio insegnante di regia disse durante una lezione che “Il cinema non è telecronaca”, perfetta sintesi di un’affermazione fatta da Hithcock durante la celebre intervista con Truffaut: “Drama is life with the dull bits cut out”, ovvero “la narrazione è la vita dalla quale sono state tagliate via le parti noiose”. Il cinema è infatti l’arte dell’ellissi. Ellissi evidenti tra una scena all’altra, quando si passa da un momento significativo di una storia a un altro, ma piccole ellissi ci sono anche tra le varie inquadrature, perché riportare ogni istante di un’azione è di solito inutile e noioso. Tanto che quando qualcosa ci viene mostrato sullo schermo nella sua interezza, per esempio un’intera camminata senza tagli che escludano alcuni passi, la percepiamo subito come differente e degna di particolare attenzione.
Ci sono alcuni registi, spesso presenti nei festival che rinunciano alle ellissi interne, costruendo i loro film come insiemi di inquadrature singole, ovvero attraverso l’uso intensivo del piano sequenza. Quando pensiamo a questo strumento stilistico siamo portati a immaginarci la camera muoversi all’interno del luogo dell’azione, mentre segue i personaggi o si sposta sugli elementi più rilevanti, talvolta con uno spiccato gusto cinetico. C’è chi, invece, prende una decisione radicale, bloccando lo sguardo e lasciando che sia l’azione a svilupparsi innanzi ad esso. Tsai Ming-liang e Roy Andersson, ad esempio, entrambi vincitori del Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia, il cui cinema è fatto di inquadrature fisse e lunghissime. A loro bisogna aggiungere l’ucraino Valentyn Vasyanovych, che a questo festival ha portato il suo sesto lungometraggio, Vidblysk (Reflection).
Un chirurgo ucraino viene arrestato dall’esercito russo e costretto ad assistere come medico alle brutali torture compiute sui prigionieri di guerra suoi connazionali. Rilasciato, dovrà cercare di tornare alla normalità della vita quotidiana, nonostante le cicatrici interiori che l’esperienza gli ha lasciato.
Per raccontare una storia con un chiaro valore storico sul conflitto russo-ucraino, Vasyanovych decide di congelare i vari momenti del suo racconto in una serie di inquadrature fisse e frontali, lunga ognuna come l’evento raccontato in essa. I quadri sono costruiti con enorme maestria e ognuno è davvero bello da ammirare, ma non è l’estetica ciò che interessa al regista. La freddezza della sua messa in scena rende stranianti le sequenze di tortura, la cui estrema violenza è mostrata con lo stesso distacco con cui vengono mostrati i momenti più ordinari della vita del protagonista. Ogni istante viene preservato da un montaggio il cui unico scopo è quello di giustapporre le varie scene; assumono così la stessa rilevanza che hanno quelli più importanti narrativamente.
Il trapano che viene piantato nella gamba di un prigioniero o lo straccio passato su un vetro sporco non sono differenti, ed è tutto il processo di smaltimento dei cadaveri a essere importante, compresi i lunghi minuti necessari per aprire e chiudere un portellone.
Vidblysk è un film ricco di metafore, certe anche piuttosto esplicite, e alcune sue scene sono visivamente meravigliose. È meno radicale rispetto ai film di Tsai Ming-liang e Andersson, perché qualche movimento Vasyanovych se lo concede, una scelta che non rompe la coerenza del film, dal momento in cui i tagli di montaggio rimangono esclusi e i movimenti di macchina diventano per la loro rarità importantissimi.
Ma più che andare ad analizzare le singole scene e i loro contenuti vale soprattutto evidenziare come l’appiattimento stilistico degli eventi, come su un vetro, elemento scenico la cui presenza è costante, serva a raccontare la pervasività della guerra, che invade le vite di chi abita in una zona di conflitto, anche un conflitto più freddo come quello tra la Russia e l’Ucraina.
Vasyanovych non dà rilievo maggiore o minore a momenti diversi proprio per questo, perché l’esistenza del suo protagonista è ormai segnata e la traumatica esperienza da lui vissuta permea ogni istante della sua vita. Pulire un vetro ha lo stesso peso di assistere a una tortura.
Il film può essere sfiancante, per lo stile e per la violenza, ma è uno dei film migliori visti finora a questa Mostra, nonostante un’accoglienza poco calorosa. Vale la pena guardarlo e arrivare fino in fondo, scena dopo scena, anche per non perdersi il barlume di speranza che Vasyanovych regala alla fine, scelta insolita per questo tipo di cinema, spesso disperato.
Vidblysk (Reflection) di Valentyn Vasyanovych (UCRAINA 2021 – 125 min.)
Interpreti: Roman Lutskyi, Nika Myslytska, Nadia Levchenko, Andriy Rymaruk, Ihor Shulha
Sceneggiatura: Valentyn Vasyanovych
Fotografia: Valentyn Vasyanovych
Montaggio: Valentyn Vasyanovych
Scenografia: Vladlen Odudenko
Costumi: Olena Harmanenko
Suono: Serhiy Stepanskiy