Jane Campion ha portato a questa edizione del festival di Venezia The Power of the Dog, un western che nel rapporto tra due fratelli racconta la storia degli Stati Uniti nel momento traumatico del passaggio dal mondo ottocentesco della frontiera a quello moderno novecentesco, fatto di automobili e non più di cavalli. Fuori concorso c’è anche un altro western, Old Henry di Potsy Ponciroli, ed è difficile immaginare due film dello stesso genere così differenti.
Se Campion vuole raccontare un intero paese e gira un film ampio nei grandi spazi tipici del western, Ponciroli restringe il proprio campo d’azione alla tenuta del protagonista eponimo, un vecchio contadino che ospita un uomo moribondo in viaggio con una borsa piena di denaro.
Dice di essere uno sceriffo inseguito da un manipolo di banditi, i quali però a loro volta si dicono sceriffi accusando l’uomo di essere lui il fuorilegge. La quasi totalità di Old Henry si svolge tra le mura della baracca in cui vive Henry con il figlio e sul suo terreno, teatro di una piccola vicenda che non vuole altro se non divertire il pubblico, tra cliché e improbabili colpi di scena.
Questa riduzione dei termini cinematografici investe l’intero film. Non è solo spaziale, ma anche narrativa e temporale, perché la trama è essenziale e senza divagazioni e Old Henry dura meno di un’ora e mezza, contro le oltre due ore di The Power of the Dog.
Ed è una riduzione funzionale, perché non è un film con qualità tali da poter reggere grandi ambizioni, ma focalizzandosi sulla propria semplicità Old Henry riesce perfettamente nel suo intento di essere “divertente”.
Mentre The Power of the Dog falliva proprio per la sua tensione alla grandiosità, che portava il film a gonfiarsi fino a disperdere le tante cose buone al suo interno. Old Henry non corre questo rischio. Anzi, già dal titolo sembra richiamare un passato in apparenza più semplice. Un modo di fare cinema più immediato e privo di sovrastrutture esplicite.
Anche in questo Henry è vecchio, come fosse un anziano spettatore perso nei ricordi dei western che vedeva da ragazzino. Quei western “mitici” popolati da grandi eroi e grandi cattivi, ora confinati in un passato che è come una coltre nebulosa, difficile da diradare se si vuole vedere cosa vi sia all’interno.
Passato e mito sono il sottotesto del film di Ponciroli, che nella sua semplicità comunque qualcosa vuole offrire al suo pubblico. Tutto o quasi ruota dunque attorno a questi due grandi temi centrali, di cui però non è corretto parlare, così da non rovinare il gusto della sorpresa per il twist finale, talmente inverosimile da rivelarsi azzeccatissimo.
Lo si potrebbe accusare di non essere un “film da festival”, e forse non lo è, in effetti. Troppo standard, privo com’è di grandi momenti di cinema. O forse è un’etichetta che non ha senso dare o non dare. Old Henry è stato applaudito, e non solo alla fine. Un paio di applausi li ha strappati anche durante la proiezione a un pubblico conquistato da Henry e il suo rude eroismo vecchio stampo. Non è poco. Anzi, è tutto quello che chiede Ponciroli con il suo ultimo film.
Old Henry di Potsy Ponciroli (USA 2021 – 99 min)
Interpreti: Tim Blake Nelson, Scott Haze, Gavin Lewis, Richard Speight Jr., Max Arciniega, Brad Carter, Trace Adkins, Stephen Dorff
Sceneggiatura: Potsy Ponciroli
Fotografia: John Matysiak
Montaggio: Jamie Kirkpatrick
Scenografia: Max Biscoe
Costumi: Brianna Quick
Musica: Jordan Lehning
Suono: Casey Barker