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Les promesses di Thomas Kruithof: recensione, #Venezia78 – Orizzonti

Nella nauseante lizza dialettica della politica, la parità non è una questione di classe, ma lo scambio tra verità e menzogna. Sul nuovo film di Thomas Kruithof con Isabelle Huppert e Reda Kateb, in concorso a #Venezia78 nella sezione Orizzonti. La recensione

Il belga Thomas Kruithof stringe il campo d’osservazione dal sistema della politica internazionale a quello locale. Con “Les Promesses” non abbandona quel senso di claustrofobia che imprigionava i personaggi di “La Mécanique de l’ombre” in un punto cieco dello sguardo, ma nell’intrico delle relazioni che tengono in piedi l’equilibrio tra cosa pubblica e privata, insegue una strategia del movimento che delinea personaggi più liberi di improvvisare, anche rispetto al percorso già scritto nella storia del potere.

I luoghi sono quelli suburbani, raccontati attraverso la battaglia quotidiana per il diritto alla casa e l’implosione di quell’edilizia abitativa inadatta a trattenere un’umanità in ebollizione.
Con un approccio diametralmente opposto a quello di Fanny Liatard e Jérémy Trouilh nel notevole Gagarine, Kruithof affronta temi molto simili, allontanandosi dai grandi centri urbani, per concentrarsi sulla vita dei comuni più piccoli, attraverso l’attività politica di Clémence, sindaca di una città vicina a Parigi interpretata da Isabelle Huppert, e del suo braccio destro Yazid, il cui volto è quello di Reda Kateb.

L’ostinazione della coppia nel delineare i confini e i parametri della città che desiderano, proviene da origini diverse, radicate nella storia della periferia per Yazid, vicine ad un percorso professionale elitario quelle di Clémence. Fedele alla scansione del cinema Polar, il regista belga costruisce un meccanismo ad orologeria dove i tempi della politica, tra conflitti e negoziazione, ribaltano continuamente il punto di vista nello spazio di una battuta o nella linea di demarcazione di un gesto.

La schizofrenia sembra l’unico codice possibile; infonde vitalità al gioco politico e consente di sopravvivere tra le maglie del sistema.

Volutamente disinteressato a qualsiasi giustificazione esterna e al retroterra ideologico dei personaggi, Kruithof punta alla funzionalità del gesto reiterato, alla presenza materiale del denaro come propellente dell’azione stessa, capace di rendere schiavi o di liberare una comunità.

“Les promesses” è fortemente ancorato alla parola e al modo in cui questa si polverizza con il repentino cambio di prospettive; fallace e manipolatoria, abita le qualità connotative oltre il limite estremo.

La verità allora, non risiede nel modo in cui Clémence riesce ad agganciare un’intera platea, promettendo quella riqualificazione abitativa che i residenti attendono da decenni, ma nel modo in cui questa può improvvisamente manifestarsi ed emergere dall’intreccio delle menzogne.

La patologia principale del sistema politico può allora diventare uno strumento con il quale improvvisare, in una continua messa in abisso delle strategie consolidate che consentano ad alcuni degli attori in gioco di uscire dalla trappola del potere attraverso un linguaggio condiviso.
Viene in mente il Derrida di “Breve Storia della menzogna”, che delinea una vera e propria società dei segreti, dove la cospirazione è alla luce del giorno e la menzogna il motore stesso dell’azione politica, dal momento in cui “non può diventare oggetto di sapere teorico“.

Questo concetto, quasi metafisico e per Derrida appartenente all’ambito dello pseudologico, assume una qualità vitale nel film di Kruithof, disseminato di personaggi alla ricerca di un circoscritto spazio identitario: il microcosmo di un appartamento, l’agglomerato abitativo che lo contiene, la stessa gestione della città come accordo possibile tra la propria carriera e il dialogo con la comunità rappresentata.

Il vorticoso rovesciamento di scelte, strategie e azioni frammenta il logos, centrale nel film di Kruithof, come propellente di quella organizzazione del potere che Focault definisce come reticolare. Ciascuno ne possiede un brandello.

Ma è proprio l’identità ideologica ad essere in qualche modo obliterata in “Les Promesses”, quasi per lasciare intatta la qualità incontrollata del linguaggio allusa dal titolo stesso, genoma di qualsiasi propaganda.

Rimangono quindi le alterazioni linguistiche, le improvvise e inintellegibili strategie denotate dalla parola, l’arbitrarietà della verità, riconfigurata in base alle esigenze del potere.

Il confine che il linguaggio stabilisce tra principi e infrazione degli stessi diventa allora un luogo possibile per Yazid, l’occasione ultima per ribaltare le regole e affidarsi finalmente all’azione pura.

Nella nauseante lizza dialettica, la parità non è una questione di classe, ma lo scambio tra verità e menzogna.

Les Promesses di Thomas Kruithof (Francia 2021 – 98 min)
Interpreti: Isabelle Huppert, Reda Kateb, Naidra Ayadi, Jean-Paul Bordes, Mustapha Abourachid, Soufiane Guerrab, Hervé Pierre, Laurent Poitrenaux, Walid Afkir, Vincent Garanger, Mustapha Abourachid, Christian Benedetti, Anne Loiret, Mama Prassinos, Youssouf Wague, Gauthier Battoue, Bruno Georis, Stefan Crepon, Rosita Fernandez
Sceneggiatura: Jean-Baptiste Delafon, Thomas Kruithof
Fotografia: Alexandre Lamarque
Montaggio: Jean-Baptiste Beaudoin
Scenografia: Oliver Radot
Costumi: Carine Sarfati
Musica: Grégoire Auger
Suono: Nicolas Provost

RASSEGNA PANORAMICA
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Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.
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