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The German doctor – Wakolda di Lucia Puenzo: la recensione

Tratto da un suo romanzo, The German Doctor è il terzo lungometraggio di Lucia Puenzo e racconta, in versione romanzata, il passaggio di Josef Mengele in Argentina, in fuga dall'Europa

La terza regia di Lucia Puenzo, a cinque anni di distanza da El niño pez, è anche la seconda volta che vede l’autrice Argentina cimentarsi con l’adattamento da un suo stesso romanzo. Il testo letterario da cui è tratto “The German Doctor” si intitola “Wakolda“, scritto un anno e mezzo prima di cominciare a lavorare alla sceneggiatura, non era stato pensato per diventare un film. La stessa Puenzo lo ha descritto come la storia di un esule tedesco che fugge da qualcosa di imprecisato e che durante la scrittura assume a poco a poco i caratteri di Josef Mengele, il medico e criminale di guerra che mise a punto una serie di esperimenti eugenetici di crudeltà inaudita all’interno di Auschwitz, utilizzando bambini, zingari e gemelli come vere e proprie cavie umane per provare le sue teorie sullo sviluppo morfologico di tipi e razze. I racconti che riguardavano la fuga dei criminali Nazisti dal dopoguerra in poi, attraverso il passaggio Argentino è storia che Lucia Puenzo conosce sin da quando aveva quindici anni. “Wakolda” costruisce una vera e propria fantasia oscura a partire da una serie di eventi che coinvolsero l’Argentina degli anni ’50 e si riferisce in parte al breve passaggio dell'”angelo della morte” nel suo paese sotto le mentite spoglie di Helmut Gregor, mentre fugge dagli agenti del Mossad con modalità non troppo diverse da quelle di Adolf Eichmann, la cui clandestinità viene tra l’altro dettagliata nel film della Puenzo attraverso l’inserimento diegetico di un cinegiornale.

Attingendo da un immaginario già romanzato da Ira levin (I ragazzi venuti dal Brasile) e da William Goldman (Il Maratoneta) la Puenzo si muove su un territorio non dissimile costruendo un noir sul desiderio e sull’identità sessuale, temi a lei cari, in un contesto disturbante che mette insieme le pulsioni più oscure con la storia più controversa del suo paese. Quando Helmut Gregor si avvicinerà ad una famiglia di cinque persone in un paesaggio deserto della Patagonia, punterà la giovane Lilith, interpretata da una splendida Florencia Bado, qui al suo primo ruolo cinematografico. Lilith ha dodici anni ma non li dimostra, colpita da alcune anomalia della crescita, invece degli otto centimetri all’anno, ne guadagna solamente due. Tra i due si instaurerà una sintonia indicibile, che se per Mengele ha i tratti di una perversità minacciosa e mai espressa sino in fondo se non attraverso i suoi disegni e il suo metodo subdolo di instaurare confidenza, per Lilith ha il segno dell’infrazione alle regole e la scoperta dell’ignoto.

Helmut Gregor si farà guidare dalla famiglia di Lilith nel percorso che dovrà condurli presso la città di Bariloche, dove il film è quasi interamente girato e dove Mengele si nasconderà, vicino all’albergo riscattato dal nucleo famigliare, costituito oltre che da Lilith dal padre Enzo (Diego Peretti), costruttore di bambole e da Eva (Natalia Oreiro) la madre di origini tedesche, incinta di due gemelli. L’interesse di Helmut Gregor per i problemi di crescita della bambina lo spingeranno ad infilarsi nel contesto famigliare, acquisendo piano piano una fiducia mai completamente accettata da Enzo e che gli consentirà di inoculare una cura ormonale nel corpo di Lilith, insinuando nel suo organismo una serie di reazioni nocive, per poi tentare una sperimentazione sui gemelli nati prematuramente dal parto di Eva. La Puenzo punta sopratutto ad approfondire il rapporto di sottile seduzione tra Lilith e Mengele, osservato dallo sguardo vigile del padre Enzo, quasi fosse l’elaborazione pericolosa di un triangolo edipico. “Wakolda” è un prototipo di bambola che Lilith ha adottato e che fa parte della ricerca sulla struttura meccanica fatta da Enzo, il cui sogno è quello di articolare movimenti sempre più precisi e inserire un cuore a mantice all’interno delle sue bambole, un’evoluzione che Helmut Gregor favorirà, agevolando la costruzione in serie di modelli così concepiti, in un’immaginifica sequenza girata in una fabbrica di bambole che sembra la metafora di un incubo Nazista

La Puenzo mostra la comunità di Bariloche come minata dall’interno, la città che aveva ospitato un buon numero di collaborazionisti in fuga dall’Europa viene raccontata attraverso una sottile perversità che si insinua nel sistema educativo, nella protezione quasi mistica che si muove intorno a questi personaggi di passaggio e sopratutto nell’allineare una storia famigliare a quella delle origini del male; se quindi per la regista argentina è sufficiente accennare con un cinegiornale di passaggio ai meccanismi che consentirono a molti criminali di guerra Nazisti di essere ospitati in questa zona grazie al beneplacito del governo di Juan Domingo Perón, al coinvolgimento dei servizi segreti Americani e anche a quello del Vaticano, il suo tentativo è quello di spostare l’analisi storica su un piano più intimo e metaforico che in qualche modo si avvicini all’elaborazione di questi fatti in una chiave mitologica, per come avrebbe potuto osservarli una bambina di quindici anni.
The German Doctor ha un solidissimo senso del racconto che è la sua forza e in un certo senso la sua debolezza; film fortemente letterario, diventa “visione” solo in alcuni momenti, sopratutto nella descrizione del rapporto tra Alex Brendemühl e Florencia Bado, attraverso sguardi, strumenti di analisi, iniezioni, disegni proibiti, quasi fosse un sottile racconto di formazione e conoscenza carnale, declinato nella sua versione oscura e perversa.

RASSEGNA PANORAMICA
Voto
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Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.
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