venerdì, Novembre 22, 2024

Aferim! di Radu Jude – Berlino 65 – Concorso

Più che un western balcanico, un eastern europeo al vetriolo. Ancora una volta, la Romania sorprende e convince.

Valacchia, 1835. Il gendarme Costandin (Teodor Corban), in compagnia del figlio Ionita (Mihai Comănoiu), setaccia il territorio alla ricerca di uno schiavo tzigano (Cuzin Toma) da riconsegnare a un boiardo (Alexandru Dabija). La caccia allo zingaro assume tratti picareschi, dal momento che i due tutori della legge s’imbattono nella più varia umanità.

Seconda Berlinale per il regista Radu Jude dopo la partecipazione del 2009 con “Cea mai fericita fata din lume”, suo esordio nel lungometraggio. Ex assistente di Cristi Puiu in attività dal 2002, Jude approda al concorso con questa co-produzione dell’Est europeo girata con uno stile classico, lineare, funzionale agli eventi, e impreziosita dal bianco e nero di Marius Panduru, tutto fuorché lezioso.

La sceneggiatura, scritta insieme a Florin Lazarescu, scompagina quello che rischierebbe di diventare uno slavato acquarello tardo-feudale inserendo dialoghi sferzanti, volutamente aforistici, che mettono i due protagonisti (cinico e scafato il padre, candido e smarrito il figlio) a contatto con un’ampia gamma di personaggi diversi per estrazione sociale, nazionalità, religione. In poche parole, ce n’è per tutti. Con alcuni momenti esilaranti, come la reazione basita ai due scioglilingua sciorinati a inizio film, lo sproloquio di un pope ortodosso (che prendendo spunto dalla leggenda dei «giganti ebrei» snocciola una specie di decalogo xenofobo) e uno spettacolo di marionette con l’arlecchino valacco che bastona, senza remore, una femmina e un prete. Ben poco esilarante, invece, il prefinale, che vede la punizione dello schiavo da parte del boiardo infuriato e becco: un piano-sequenza che scansa i dettagli più grafici ma tiene comunque incollati allo schermo.

Mutatis mutandis, con un semplice cambio di costumi e di coordinate geografiche, ci troveremmo davanti a un western ambientato ai tempi dello schiavismo. Il modello di genere è evidente da come Jude filma i paesaggi e le interazioni tra personaggi, dall’incedere implacabile, senza divagazioni, di un film solo in apparenza riservato agli esperti di storia balcanica. A sottolineare (e schernire) il modello di riferimento, nei titoli di coda ruoli e nomi sono persino uniti dai puntini. Macché western: eastern. Caustico, peraltro. Politicamente scorrettissimo. E visto che l’esclamazione Aferim significa, in turco, ben fatto, allora ben fatto, Radu, ben fatto!

Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi è nato a Bologna nel 1976. Vive in Germania. Dal 2002 lavora in campo editoriale come traduttore (dal tedesco e dall'inglese). Studia polonistica alla Humboldt. Ha un blog intitolato Orecchie trovate nei prati

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