domenica, Dicembre 22, 2024

Al bahr min ouaraikoum (the sea is behind) di di Hicham Lasri – Berlinale 65 – Panorama

Di giorno, in una strada affollata di una città marocchina. Un uomo cammina per strada. Qualcuno gli dà del frocio e questi, voltatosi per protestare, viene assalito da due uomini che lo picchiano dinanzi agli sguardi inebetiti di commercianti e di passanti. Viene soccorso dalla polizia, qualcuno gli offre un caffè. L’uomo decide di non sporgere denuncia. Quanto gli è successo gli passa addosso come se non lo riguardasse. Perde sangue dal naso. Sangue cade nella tazzina del caffè.

La scena cambia. Altro giorno, altro luogo: un rabberciato carretto trainato da un malandato cavallo attraversa le assolate strade semi-deserte di una città marocchina, accompagnato da un esiguo gruppo di accattoni. Sul baroccio danza al frenetico ritmo di una musica tradizionale una figura vestita di nero. Indossa un abito femminile, il suo volto è velato. Potrebbe essere una statua dell’Addolorata portata in processione se non fosse per i movimenti che animano il suo corpo.
D’un tratto la teoria di figure si arresta, il ronzino ma questi non ce la fa più a tirare la carretta. La musica e il melodiare delle preghiere cessano lasciando il posto al suono nervoso dei clacson di automobili che si appressano in coda. Il carrettiere scende, parla al giumento, lo supplica di riprendere la marcia, piange, lo accarezza, si sfila la dentiera e con questa gli spazzola dolcemente il crine. Niente, la bestia non vuole più saperne.

Segue un primo piano della danzatrice: attraverso il velo scorgiamo il volto di un uomo, il medesimo che nella sequenza di apertura è stato pestato a sangue. È Tarik (Malek Akhmiss), un artista di H’Dya (secondo il comunicato stampa, una danza tradizionale marocchina). Il carrettiere (Hassan Badida) è suo padre. I due si procurano da vivere con gli spettacoli H’Dya, vivono in strada, sono considerati dei reietti della società marocchina.

Un tempo, la vita di Tarik era stata molto diversa. In passato aveva abitato in uno spazioso appartamento ed era stato sposato con una bella donna da cui aveva avuto due figli. Cambiò tutto allorché la moglie s’innamorò di un corrotto poliziotto che uccise i bambini della coppia e cacciò Tarik dalla sua casa, portandosi via la moglie. Da allora Tarik vive in strada col padre tra accattoni, punk e gay emarginati da una società che rifiuta di dar loro una collocazione non residuale. Da allora Tarik vive domandandosi perché non riesca a piangere sulla morte dei sui figli, per quale ragione non nutra sentimenti di vendetta nei confronti dell’uomo che ha distrutto la sua vita. Tarik se lo chiede guardando il mare, si chiede se davvero ci sia nell’acqua qualcosa che sta avvelenando tutti o se sia solo una sua fantasia.

A livello formale, il film si caratterizza per l’uso di un bianconero scarno dai toni fortemente contrastati (quasi da gradazione 5). Fa eccezione l’ultima sequenza, a colori, con elevato livello di saturazione. Le inquadrature variano dalla totale al primissimo piano. Le sequenze sono riprese con camera a spalla e seguono senza pausa i personaggi, componendosi in un montaggio ben ritmato.
La colonna sonora mixa musiche marocchine di diverso genere, passando dal rap ai canti tradizionali.
A livello narrativo, l’intreccio è un susseguirsi di nuclei narrativi ben definiti intercalati da brevi analessi e prolessi che, inizialmente disorientanti, si chiarificano nel corso del processo di visione. Riguardo ai personaggi, bisogna distinguere tra la figura del protagonista e i personaggi minori. Se la è infatti tratteggiata con attenzione e vive un mutamento nel corso del film, gli altri personaggi sono invece statici e restano appiattiti sul loro ruolo.
Il livello dialogico è ben strutturato e fornisce informazioni essenziali alla comprensione della storia.

Hicham Lasri (The end, 2012; They are the dogs, 2013), che oltre che regista è noto in Marocco come scrittore e autore teatrale, ci racconta col suo riuscito bianconero una società marocchina in bilico tra tradizione e modernità, ammalata di una violenza e intolleranza mascherati da religiosità. Una società che ha sofferto al punto da non saper più piangere. In attesa dell’Apocalisse.

Christian Del Monte
Christian Del Monte
Christian Del Monte (Matera, 1975) è scrittore e fotografo. Sue passioni: cinema, linguaggi visivi, storiografia, caos

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