Ci sono esperienze del cuore di cui non si dovrebbe parlare, ma poi le parole trovano la loro strada. Madre e figlio, pensarlo è rivederlo e sentirne di nuovo il dolore. Tele cinematografiche da romanticismo tedesco, C.D.Friedrich, i suoi toni cupi e le scene cariche di presentimenti, la fotografia di Aleksei Fyodorov predilige la gamma del marrone e del verde, Vladimir Persov e Martin Steyer scelgono le sonorità del silenzio, fruscii, gorgoglìi, la natura, insomma, e il grano che ondeggia, un leggero fraseggio pianistico, come in lontananza e come spesso in Sokurov, frammenti musicali come portati dal vento che gira, lo spazio è quello di un pianeta abbandonato attraversato dai due unici abitanti, l’onda sonora di pochissime parole taglia il silenzio della natura, la bruma della campagna russa sfuma i contorni e diventa opalescente, deformazioni del campo visivo in ogni direzione, ottiche deformanti, anamorfosi necessaria per dire un dolore che contrae le viscere e cresce, senza tregua, la bellezza di essere al mondo e la paura di morire. Paura e dolore, ho un’infinita pena per te, è la madre che non può darsi pace al pensiero della solitudine del figlio.
Perché non c’è pace per questo. Provo una pena infinita per te – dice la madre, ed è la consapevolezza della condanna assurda, quella di vivere e quella di morire – perché anche se non vuoi, devi sopportare il mio dolore e questo non è giusto. Dirlo in modo così spietato e sublime. Il tempo annulla la durata, può durare la descrizione di un sentimento? Tempo e spazio si inscrivono in coordinate nuove, in Madre e figlio, l’anamorfosi crea un universo prospettico riconoscibile ma altro, i volti dolenti, tratteggiati con colori puri, i gesti immersi nella luce irreale di uno spazio indistinto, abbattono ogni separazione fra discipline artistiche diverse, da certe Deposizioni del Pontormo alla madre morente con figlio di Sokurov il passo è breve, si può dipingere con il suono o creare musica con i colori, dunque anche dipingere con la fotografia e far nascere una realtà onirica che prenda il sopravvento, diventi di nuovo riconoscibile e intensifichi il senso con la sua distorsione, il figlio ora sembra il padre che cura e che consola, stati d ́animo inalterati ma di intensità diversa creano quel passo lento eppure in costante crescita di tensione che tocca l’ akmé lirica quando madre affronta da sola l’ultimo passaggio e il giovane resta fuori scena. La mano senza vita della donna, la farfalla incastrata tra le dita, il figlio che fa ritorno a casa con le domande mute che non hanno avuto risposta, c’è l’eco delle domande inutili del pastore errante alla luna, la natura crudele e sublime resta indifferente al dolore dell’uomo che continua ad amarla. ad accarezzarla con colori fiamminghi, a farsi cullare come quando il figlio ha adagiato la madre, diventata esile, piccola nella sua malattia, nel ventre di un albero. La madre morirà e il figlio resterà solo, la bellezza e l’amore che l’uomo riesce ad esprimere non basteranno mai, la parola tace inerte, si riduce a poche sillabe e Dio è nascosto nel folto di quel verde, dietro quelle nuvole pesanti.
Non c´è nessuno lassù in cielo
Eppure qualcuno mi ha ferito