Se c’è un aspetto per chi scrive chiarissimo nel lavoro di Charlie Kaufman, almeno da quando le sue idee si sono saldate definitivamente con il suo cinema, è l’assoluta impermeabilità delle prime rispetto alla messa in scena. Stratificata e autodistruttiva, la scrittura dello sceneggiatore statunitense si avvolge su se stessa e rivela lo scheletro di un’architettura simulacrale. Synecdoche, New York è certamente un totem sull’impossibilità, titanica, del controllo, destinato a crollare addosso al suo autore in un labirinto di rimandi metanarrativi che impostano una distanza, del tutto anaffettiva, con gli attori del suo stesso film. Rispetto ai fallimenti, altrettanto titanici ma umanissimi di Terry Gilliam, quelli di Kaufman sembrano destinati alla chiusura iperbarica.
Dal set completamente chiuso e separato da qualsiasi imprevisto di Synecdoche al mondo tra artigianato e tecnologia di Anomalisa, realizzato insieme Duke Johnson, già autore della serie tv Mary Shelley’s Frankenhole realizzata in stop-motion.
Ed è proprio sul passo-uno che è interessante soffermarsi, perché se Kaufman da l’impressione di aver ridotto la complessità dell’universo tra Escher e Kafka del suo immaginario, privilegiando gli incubi del secondo a favore di una maggiore linearità, il mondo inerte e inquietante di Anomalisa colpisce al cuore uno degli aspetti più importanti del cinema “animato”, quello della mutazione.
Ne parlava Fusako Yusaki durante un recente incontro proprio qui a Venezia al Ca’ Foscari Short Film Festival, come di un propellente fondamentale, la cui parola nasconde anche una prospettiva di tipo spirituale, la stessa che paradossalmente, la metafisica gelida di Kaufman vorrebbe elaborare.
Certamente la scelta di Kaufman / Johnson non è quella di lavorare con la materia, e quindi affidarsi all’imprevisto di una lotta costante e senza soluzione di continuità con la forma, ma è pur vero, che i pupazzi di Anomalisa, infondono su chi guarda una disturbante sensazione necrofila, basta solo pensare alla sequenza in cui il protagonista, Michael Stone, pratica un cunilinguus a Lisa, l’anomalia amorosa che l’esperto di custumer service motivazionale incontra in uno dei suoi viaggi di lavoro, mentre è rinchiuso in un albergo bunker che moltiplica il suo ego nell’universo infinito di individui che parlano e si muovono come lui.
Ma niente si muove veramente, neanche il sesso, nel mondo di Michael Stone, e quella lettera che Lisa gli lascerà mentre viaggia in macchina con i capelli al vento, più che un altro da se, un lato femminile in grado di scompaginare la cancrena senile e abitudinaria della sua vita, sembra una proiezione distante, incubo tra una serie di incubi programmati per un mondo di marionette.