Il reale, nel cinema di Pietro Marcello, si manifesta nelle increspature, negli interstizi. Era così con le immagini residuali de La Bocca del Lupo e si ripete in “Bella e Perduta“, dove il rapporto tra mito e realtà sembra rovesciarsi, esattamente come nella sovrapposizione tra coscienza e sogno, con un’intuizione che è anche pasoliniana, nell’utilizzo di un linguaggio di poesia che punta alla verità delle cose, alla sacralità di una natura deturpata e infine al viaggio, come passaggio di qualità picaresca più che narrativamente lineare, in una terra tra vivi e morti.
Tommaso si prende in carico una reggia borbonica situata in aperta campagna e ormai in pieno degrado. Per la sua dedizione lo chiamano l’Angelo di Carpitello, e ogni giorno si trova a pulire quello spazio e a sanarlo dai rifiuti della discarica. Quando troverà un piccolo bufalo abbandonato nei dintorni, lo adotterà. Come in una fiaba arcaica l’animale parla (con la voce di Elio Germano) e instaura un rapporto di conoscenza con Tommaso.
Alla morte dell’uomo, la maschera di Pulcinella comparirà come figura di transito tra la terra dei vivi e quella dei morti. Sarà lui ad occuparsi del piccolo bufalo, destinato ad un uomo indicato dallo stesso Tommaso prima della sua morte.
Pietro Marcello racconta il suo casertano, prendendo spunto dal Tommaso Cestrone raccontato da Guido Piovene nel suo lungo Viaggio In Italia, prima reportage radiofonico prodotto per la Rai nei primi anni cinquanta, e in seguito volume edito da Mondadori e che raccoglieva gli scorci, i paesaggi, i volti e i personaggi incontrati durante il percorso di ricerca dello scrittore vicentino.
Pietro Marcello parte allora dal Cestrone documentale, che Piovene descriveva nel suo lavoro di recupero della reggia di Carditello e mette insieme al reportage alcuni elementi che riguardano l’Italia di oggi, con riferimenti precisi alla terra dei fuochi
Nella scelta di un tono apparentemente allegorico, in realtà il cinema di Marcello non perde per un attimo la sua incredibile forza, individuando attraverso i continui slittamenti di senso e del punto di vista, un metodo che senza soluzione di continuità è documento, racconto arcaico sottoposto alle trasformazioni della tradizione orale, e sopratutto, parte di un discorso poetico che dal found footage fino a questo nuovo tassello della sua filmografia, rivela uno degli autori più importanti del nostro cinema.