Black Mass – L’ultimo gangster di Scott Cooper (Crazy Heart, Il fuoco della vendetta), è documento, rievocazione e sguardo imparziale ma non indifferente.
Johnny Depp dà la faccia giusta al celebre gangster di origine irlandese che l’FBI cooptò negli anni ‘70 per combattere la mafia italiana, nemico comune.
Faccia giusta perché adeguatamente fredda, marmorea, funerea quanto basta per stupire il pubblico quando un guizzo vitale muove i suoi muscoli facciali, tesi da rabbia furente e trattenuta o ammorbiditi da amor filiale o paterno.
C’è infatti qualcosa che accomuna tutte le mafie made in Usa ma con radici europee, ed è il senso di appartenenza, la famiglia prima di ogni altra cosa. I ricordi d’infanzia nel quartiere dove giocarono bambini sono santini inviolabili, e se le strade si sono divise e uno ha imboccato quella del crimine, l’altro ha scelto l’FBI, poco importa, c’è un patto di sangue che non tramonta mai.
James “Whitey” Bulger e John Connolly (Joel Edgerton) funzionario dell’FBI locale, famoso per il ciuffo alla Elvis e l’amore per i bei vestiti, sono infatti vicini di casa da sempre, cresciuti insieme nella vecchia Boston di casette a schiera con odor di lasagne e tacchino arrosto che esce dalle finestre.
Normale quindi che si diano una mano fino a che carcere non li separi (cosa che, peraltro, accadrà molto tardi, quando, per superati limiti di età, hanno finito di nuocere).
E poiché anche l’immagine vuole la sua parte, anche il fratello di Bulger, Bill (Benedict Cumberbatch) l’intellettuale, il fine politico in marcia per il Senato degli States, non può non essere aiutato, e quando sarà inevitabile dimettersi da senatore la città di Boston lo consolerà affidandogli la presidenza dell’Università.
Questo lo scenario che Scott Cooper ricostruisce con i colori, le ombre, gli interni fumosi dell’epoca, ma con la patina invecchiata che spalma ovunque, anche sulla faccia di un Depp decisamente in disarmo, sembra fare il verso ai gloriosi gangsters movies dei tempi eroici.
La storia parte in una Boston percorsa da bande criminali in guerra per la conquista del territorio.
La spregiudicata trattativa con le istituzioni si rivelò risorsa preziosa per Bulger, che se ne servì per crescere e diventare uno dei gangster che hanno fatto storia.
Erano i tempi di Joe Russo, capo mafioso italo-americano detto “Il Malfattore”, Indian Joe Notarangeli e vari altri astri nascenti o di lungo corso della malavita italo-irlandese-americana.
Classe 1929, lunga carriera criminale alle spalle, salito al vertice della Winter Hill Gang, banda di origini prevalentemente irlandesi, Bulger assunse il controllo sulla polizia locale e John Connolly fu il grande tessitore di complicità ad ampio raggio.
Con il traffico di droga tutto nelle sue mani, gli avversari fatti finire in prigione o preferibilmente all’inferno, a partire dagli Anni ‘70 Bulger divenne l’uomo più temuto di Boston e assunse il dominio dello Stato del Massachusetts, rinnovando i fasti degli illustri predecessori degli Anni ‘30.
L’alleanza di Bulger con le istituzioni durò vent’anni, fino al ’99.
Fu allora che l’uomo, per chissà quale cambio di rotta della fortuna, iniziò la sua discesa, quella che l’avrebbe portato anni dopo, nel 2007, a ritrovarsi affibbiata dall’Interpol l’etichetta di “secondo uomo più ricercato dall’F.B.I. dopo Osama Bin Laden”.
Eppure, nonostante l’ampio dispiegamento di forze messe in campo nella sua ricerca, fu catturato solo nel 2011 in California, nel condominio di un più che decoroso quartiere residenziale, dove viveva da 15 anni, ovviamente sotto falso nome, con la sua fedele compagna.
Un tranquillo vecchietto malfermo sulle gambe finì nelle solide mani dell’ FBI, e questo finale ricorda tanto da vicino la sorte di un bel mucchio di criminali nazisti di meno recente memoria.
Una storia americana, dunque, una delle tante dell’internazionale mafiosa degli ultimi cinquanta anni.
A chi si chiede come ciò sia stato possibile, val la pena di segnalare un testo fondamentale sulla lotta dell’FBI al crimine organizzato negli Anni Trenta.
Trattasi di Nemico pubblico di Bryan Burrough, e serve a capire anche le età successive, perché smantella tutta una serie di luoghi comuni sulla lotta dell’FBI alla criminalità organizzata negli USA.
Sulle collusioni con capi mafia di Edgar Hoover, pezzo da novanta al Dipartimento della Giustizia USA per oltre mezzo secolo e morto nel ’72, molto c’è ancora da sapere e forse non tutto sapremo mai, ma la condotta spregiudicata dei suoi successori certo ha avuto in lui un buon maestro.
Scott Cooper sembra intonare qui il canto funebre per una vecchia criminalità ormai defunta, ma certo rinata come Araba Fenice e ancora operante con mezzi molto più sofisticati e soprattutto operativi in quel misterioso campo denominato Alta Finanza.
Lungi dall’essere stata sconfitta, anzi addirittura resa impenetrabile dall’evoluzione dei mezzi e dalla confusione dei tempi, resta solo da dire che ha perso quell’aura romantica, quasi fiabesca, su cui tanta mitologia è stata alimentata, anche, e soprattutto, dal cinema.
In questo senso Black Mass –L’ultimo gangster sembra veramente un canto d’addio.