giovedì, Novembre 21, 2024

Ca’ Foscari short film festival 6: Concorso Internazionale, tutte le recensioni della prima giornata

La Foto di Copertina: Nabilah di Paul Meschùh

Parrot Away è il corto d’animazione che il danese Mads Weidner, classe 1989, ha realizzato come film di diploma per l ‘Animation Workshop/VIA UC. Il pappagallo Pierre è il più brutto di una serie di pennuti destinati alla vendita e acquistati dai pirati più belli dei sette mari. Quando tutti hanno trovato il giusto compare, Pierre è l’unico a rimanere spaiato, fino a quando, uno dei pirati giunto al negozio in ritardo non sarà costretto ad acquistarlo a sconto. Cominciano così le avventure dei due, tra i tentativi del pirata di rendere Pierre più bello e lo scherno dei suoi rivali.  Weidner, oltre ad avere un senso del ritmo formidabile, rappresenta perfettamente la missione dell’Animation Workshop di Copenaghen, struttura che va al di là della semplice scuola, ponendosi in quel crocevia fecondo tra formazione e industria cinematografica. E i risultati si vedono, perché Parrot Away utilizza le tecniche CG per recuperare la sintesi essenziale di linee e colori in quel percorso immaginario che dall’ultimo Chuck Jones arriva fino ai flash-cartoons di John Kricfalusi. In questo senso Weidner preferisce le prospettive più ardite ed espressioniste, ma anche le astrazioni grafiche alla Saul Bass.

Parrot Away di Mads Weidner
Parrot Away di Mads Weidner

Vasha Narace, nata a Trinidad nell’85 e vicina ad ottenere una laurea magistrale presso l’Accademia del Cinema di New York, ha prodotto una serie di cortometraggi principalmente legati al tema della violenza sulle donne. One In è la sua prima regia e racconta un dramma famigliare con un tocco molto lieve e i colori onirici della prima Sofia Coppola. Kassie è un’adolescente di sedici anni e alla vigilia del suo compleanno chiede ai genitori un lucchetto per chiudersi in camera. Quella che sembra una richiesta incomprensibile per il padre nasconde una verità troppo dura da accettare. La Narace gioca con una serie di slittamenti del senso, spostando il centro del problema sulla percezione degli effetti e disseminando di tracce tutto il corto. Dal fratello che frigge distrattamente le uova, ai disegni della ragazza fino alla sorprendente sequenza della festa, dove i piccoli gesti e la relazione con i coetanei rivelano molto di più rispetto a quello che emerge in superficie.

One in di Nasha Varace
One in di Nasha Varace

Hanno fatto il giro del mondo le immagini brutali della lapidazione di Rokhshana avvenuta nel 2015 , donna di 19 anni costretta a sposarsi e in seguito trovata in flagrante adulterio con un altro uomo, dalla milizia guidata dal leader talebano di un villaggio situato nell’Afghanistan centrale. Basato su eventi reali che hanno avuto luogo  in Afghanistan undici anni prima rispetto alla morte di Rokhshana, Nabilah dell’austriaco Paul Meschùh parte da presupposti simili, ma sviluppa una narrazione parallela molto più sottile, quasi per consentirci di conoscere un contesto complesso attraverso lo sguardo occidentale, incapace di comunicare con una realtà che non è in grado di conoscere. Quando Nabilah viene ferita in un incidente e il fratello minore si assenta un momento per cercare aiuto, i soldati tedeschi passano dalla stessa zona, aiutando la giovane ragazza e portandola alla base militare. Quella del fratello e del padre di Nabilah sarà una corsa contro il tempo, nel tentativo di raggiungerla senza far sapere agli abitanti del villaggio che la ragazza ha avuto un contatto con uno straniero. Meschùh lavora su un progressivo slittamento di senso mettendo in scena un movimento opposto, quello dei congiunti di Nabilah e il tentativo di un soldato tedesco di riportarla al villaggio natale, con l’idea di compiere una buona azione. Lo scontro tra culture per il giovane regista austriaco viene quindi evidenziato con la diversa interpretazione di un evento, attraverso i due gesti opposti di rivelazione e occultamento. In questo senso Meschùh, costruisce un saggio di cinema ellittico, tutto basato sugli oggetti (il giubbotto, le pietre) puntando così verso un climax inconoscibile per poi farlo esplodere con l’irruzione di una realtà sociale durissima e inaccettabile. Più dell’evento in se allora, la violenza si riverbera come un’eco nel contrasto tra fatto e improvviso disvelamento di un contesto politico; attraverso un gesto di ingenua irresponsabilità, la missione di pace del soldato si trasforma nella condanna a morte di Nabilah.

La polacca Martyna Majewska con Multifrenia lavora sull’irrapresentabilità della Recherche Proustiana sovrapponendola al percorso di una coscienza frammentata. La malattia da cui è affetto Marcel, cresciuto in una famiglia borghese sotto la protezione economica dei genitori, si chiama appunto Multifrenia, un disturbo che gli impedisce sin dall’infanzia di concentrarsi, che gli causa violenti attacchi di panico e che allo stesso tempo lo separa dalla comprensione delle proprie emozioni. In modo sottile la Majewska sembra riferirsi agli studi di Kenneth Gergen, il primo ad aver delineato il concetto di “Multiphrenia” nel volume “The Saturated Self”. Per Gergen più di una malattia, la Multiphrenia coinvolge la relazione dell’individuo con la molteplicità di valori, opinioni e stimoli offerti dal veloce sviluppo delle nuove tecnologie. L’idea di una soggettività coerente viene quindi sostituita con la frammentazione dell’io, ormai sottoposto ad un senso di inadeguatezza pervasiva. La Majewska, anche se non si riferisce esplicitamente a questi concetti, costruisce un personaggio aderente alle intermittenze del cuore Proustiane, ovvero quelle che si verificano nel contrasto tra sollecitazione presente e recupero dell’infanzia, e la frammentazione soggettiva dell’ìndividuo contemporaneo. Marcel, all’inizio del corto racconta la sua vita in una stanza circondata da donne e il travelling all’indietro ricorda la posizione di Alex ne l’Arancia Meccanica di Kubrick. Da questo momento in poi le intermittenze di Marcel e la presenza di Odette, l’unica figura in grado di sostituire il ricordo della madre, si avvicendano attraverso uno stile che guarda con molta attenzione a quel surrealismo polacco fine settanta e che include il cinema di Andrzej Żuławski e di Walerian Borowczyk; da quest’ultimo in particolare la Majewska sembra farsi ispirare sia per l’approccio pittorico all’inquadratura, sia per il ricorso ad alcune tecniche d’animazione. La Majewska, che sperimenta spesso attraverso diversi formati e ambiti, tra cui quello teatrale, ripropone il suo universo creativo con un’interessante e sincera attitudine visionaria, in un momento in cui il cinema polacco contemporaneo sta vivendo una nuova primavera, tra realismo e altri stimoli.

Multifrenia di Martyna Majewska
Multifrenia di Martyna Majewska

La memoria è al centro anche del corto diretto dall’Indiana Lubna Sharmin e intitolato Laila Leelar katha – Ballad of Laila Leelar, percorso a ritroso sulle tracce di Laila, fino al momento della morte nel 1965. Parte dal 1905 il film della Sharmin, dipanandosi attraverso gli eventi famigliari e la costante presenza di un contenitore sacro per il color vermiglio, donato alla ragazza dalla nonna quando aveva ancora nove anni. Tra i canti della tradizione vedica e la ritualità di alcune tradizioni la Sharmin ambienta buona parte degli eventi durante la divisione del Bengala imposta dal governo inglese, che spinse in due zone diverse musulmani e Hindu. Il contrasto diventa interiore quando il padre di Laila sarà costretto a ricevere l’ospitalità per se stesso e la figlia nella casa di Sk.Messar, giovane musulmano di Barisal a cui Laila sarà promessa in sposa. Girando in pellicola la Sharmin si connette alla tradizione del cinema a colori indiano della seconda metà degli anni sessanta lavorando con grande capacità attraverso diverse forme del racconto, dall’elegia alla tradizione più strettamente legata al cinema della realtà.

The ballad of Laila Leelar di Lubna Sharmin
The ballad of Laila Leelar di Lubna Sharmin
Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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