Foto di Copertina: Hashi di Suzuyuki Kaneko
C’è un’idea alla base di SottoSopra, il corto di Giuseppe Brunelli, Davide Zanoni, Matteo Galvani e Benna Lorenzo, che in parte si avvicina ad alcune delle intuizioni di Tsai Ming Liang in Xi You. Il primo aspetto riguarda il tentativo di creare una dimensione parallela rispetto a quello che percepiamo come spazio dell’inquadratura. Se il gruppo di autori legati al Politecnico di Milano si serve di una serie di piani sequenza, lo fa cercando una nuova configurazione del punto di vista e rivelando direzioni dello sguardo che non ci aspettavamo, attraverso l’origine e il riflesso dell’immagine stessa. È una nuova e mutevole definizione dello spazio che serve agli autori per raccontarci la natura transitoria dell’immagine, ma anche una particolare riflessione sul sopra e sul sotto dell’immagine e sulla sua stabilità illusoria. Corto laboratoriale quindi, con grande attenzione al sound design e alla composizione dello spazio.
E anche Sehir del regista turco Temel Arda Karsli, trasforma lo spazio della città in una sinestesia astratta. L’origine è una chiamata al cellulare senza alcuna risposta e una rabbia che trova espressione attraverso la flanerie urbana. Semih osserverà i giochi dei bambini davanti ad una scuola, entrerà in un bar dove gli uomini giocano a carte, osserverà la vita del mercato fino a chiudere la sua giornata con un lungo viaggio in metropolitana. Quello che interessa a Karsli non sono le ragioni che spingono il ragazzo nel suo girare a vuoto, quanto la trasfigurazione della città in base alla relazione tra fuori campo e realtà empirica.
In Kapsula, del regista albanese Irdit Kaso, la città è un ambiente ostile dove sono le regole dell’economia che ne regolano l’andamento e gli intrecci sociali. Keli, separato e con figlia sistemata dalla madre, lavora come saldatore oltre ad un impiego come portiere di notte. Due lavori non sono sufficienti per pagare i debiti, lo stipendio tarda ad arrivare e la sua casa verrà espropriata. Costretto a vivere su un tetto adatterà una copertura di acciaio come spazio dove dormire, una capsula da dove guarda il cielo e conserva tutto il necessario. Kaso sceglie gli ambienti della fabbrica e quelli del deserto urbano come riflessi di uno stato d’animo senza più approdo. Implicitamente, quello di Kaso, è uno sguardo lucido sulla disgregazione del nucleo famigliare, non solo per il destino di Keli, ma per tutto quello che lo stesso percepisce intorno; ogni gesto, ogni indicazione, ogni interazione e ogni frammento di vita, indica il principio della fine.
Dalla disgregazione della famiglia tradizionale alla formazione di un nuovo Paradigma nel corto del venezuelano Valentino Sandoli, classe 1993 e appena laureato in Media Studies all’Università Carlos III di Madrid. Guille è un giovane studente innamorato del suo compagno di classe, ma l’espressione di un sentimento così dirompente può solo manifestarsi nel segreto di una camera, mentre si masturba davanti al profilo facebook dell’amico oppure attraverso un percorso di formazione affettiva che lo porterà a frequentare ragazzi diversi e feste promiscue, cedendo ad alcuni eccessi. L’amore è dietro l’angolo e Sandoli lo fa combaciare con le note di “only you” degli Yazoo, sigillo quasi elegiaco che dimostra la positiva leggerezza con cui affronta temi usualmente attraversati da un certo maledettismo di maniera. Paradigma stupisce invece per la vicinanza ai corpi e ai gesti di un rituale di apprendimento, individuando una dimensione identitaria attraverso un percorso di crescita del tutto naturale.
Suzuyuki Kaneko, figlio di Shusuke (My Soul Is Slashed, Necronomicon, Death Note) ambienta nella suburbia di Tokyo il suo Hashi (Bridge) legando la vita dei personaggi non solo alla presenza simbolica di un ponte, ma sopratutto agli ambienti svuotati della provincia. Sullo sfondo un crimine perpetrato ai danni di un industriale, a cui Saito ruba del denaro insieme ad un amico con un handicap fisico alla mano sinistra. Il movente è legato ad altri motivi e Kaneko connette a poco a poco la presenza dell’industria locale al destino dei personaggi, non solo il padre di Saito, morto suicida in seguito al fallimento economico, ma anche lo stesso handicap dell’amico, correlato in qualche modo alla vita di fabbrica. Kaneko riconfigura le relazioni di sangue e quelle di amicizia ribaltando il punto di vista e innestando un piccolo racconto di formazione dai toni oscuri e inquietanti.
Fotografato quasi interamente in uno splendido bianco e nero da Rangarajan Ramabadran e con il peculiare sound design di Sandro Sadhukan, Kamakshi è lo splendido corto dell’indiano Satindar Singh Bedi, elaborazione di uno dei momenti apicali del Ramayana, tra i più grandi poemi epici dell’induismo. Il frammento che Bedi sceglie è quello dove Sita, moglie di Rāma, principe ereditario del regno dei Kosala, deve sottoporsi ad una prova estrema per confermare la sua purezza, in seguito alle presunte molestie subite da Ravana, re dei demoni. Su questa base epica Bedi filma una donna anziana mentre scava un pozzo dietro l’altro in cerca d’acqua, un dialogo incessante con madre terra e con Kamakshi, dea della compassione, fino alle origini stesse della vita. Il metodo scelto da Bedi insieme al suo direttore della fotografia è quello di un surrealismo simbolico che si avvicina sia alla tradizione di certo cinema indiano degli anni sessanta, sia al linguaggio delle nuove onde europee di quegli stessi anni. Kamakshi è davvero un film fuori dal tempo dove dalla prospettiva orizzontale del paesaggio si spalanca quella verticale del pozzo, in una relazione non lineare tra piani della visione e struttura del racconto.