sabato, Novembre 2, 2024

Ca’ Foscari short film festival 6: Concorso Internazionale, le recensioni della seconda giornata 2/2

La foto di copertina: Fragil di Rebecca Panian

Il ventiseienne Sander Joon, regista e VJ estone ha proposto al Ca’ Foscari short Velodrool, corto d’animazione che recupera certe suggestioni dell’animazione dell’est vicina all’illustrazione, lavorando quindi su linee essenziali e sulla metamorfosi di un tratto apparentemente abbozzato. È un terreno utile per sviluppare la creazione di un mondo surreale, dove la dipendenza dal fumo diventa la scusa per inventarsi una competizione onirica, tra conigli lisergici, doping improbabili e una scomposizione del dinamismo per il trionfo della forma astratta.

Velodrool di Sander Joon
Velodrool di Sander Joon

Aly Rana, regista poco più che ventenne originario dell’India centrale, con il suo Moksha costruisce il percorso narrativo non lineare incentrato sul senso di colpa di una guardia giurata. Asif uccide accidentalmente il suo collega e amico Ashok, ma Rana ritarda la spiegazione dell’evento introducendo il suo lavoro in medias res e stratificando una serie di flashback e di veloci jump cut con l’intenzione di accentuare lo stato di precarietà emotiva del protagonista. Quando Asif si troverà in una situazione speculare a quella che ha causato la morte dell’amico, opererà una scelta sacrificale quasi per rimettere a posto le cose con un giusto castigo. Sullo sfondo di questo racconto fortemente introspettivo una descrizione dell’India legata al rapporto tra stato e criminalità, fuori da certi parametri tradizionali, e più vicina alla definizione di una prigione a cielo aperto.

Moksha di Aly Rana
Moksha di Aly Rana

Che cosa faresti se questa fosse l’ultima settimana della tua vita? Comincia sotto forma di intervista il corto diretto dalla regista Ceca Amálie Kovářová, studentessa di regia al terzo anno presso  la Film Academy di Miroslav Ondříček. Každou vteřinu (Every Second) introduce la soggettiva del giovane Honza mentre è ricoverato in un letto d’ospedale. I genitori gli si avvicinano e cercano di consolarlo, l’inquadratura genera sin da subito quell’inquietudine polanskiana che trasforma lo sguardo sulla realtà più famigliare in qualcosa d’altro. Al volto della madre che cerca di sollecitare il figlio a prendere in mano la propria vita si alternano le immagini di una ragazza come se fossero quelle di un bel ricordo distante. L’ingresso nella vita di Hanzo precedente all’incidente segue quindi un procedimento che alterna ricordo e immaginazione e tutto il viaggio a Berlino del ragazzo è un continuo spostarsi dal tempo presente a quello di un desiderio che non trova alcuna attualizzazione, se non in una dimensione onirica o immaginale. Il contrasto tra l’esperienza con la vitale ragazza tedesca e l’immagine di quella desiderata genererà quello spaesamento che è all’origine dello stesso incidente. La Kovářová controlla abilmente la materia di un film difficile che si basa sullo scarto e il gesto quotidiano minimo, riuscendo ad infondere uno spirito brillante e visionario anche alle sequenze apparentemente più ordinarie. Il percorso di questo piccolo “uomo senza qualità” dalla dimensione interiore si trasforma in un viaggio emozionale e ricco di allusioni visive.

Každou vteřinu
Každou vteřinu di Amálie Kovářová

Rebecca Panian con Fragil segue la difficile elaborazione di una storia d’amore interrotta attraverso il percorso notturno di Natalie, interpretata da una splendida Lale Yavas. Se in termini narrativi tutta l’esperienza distruttiva di Natalie in seguito ad un primo incontro dopo la separazione sembra evidenziare le ferite interiori della donna e la sua incapacità di tornare ad amare, c’è una doppia lettura nel lavoro della giovane cineasta svizzera, alimentato dalle modalità empiriche con cui immerge la Yavas in un mondo notturno e ostile, dominato da una costante presenza maschile che la deride, la mette a parte, la osserva come un animale in gabbia. Se Sasha, il poliziotto con cui fissa originariamente il suo incontro, manifesta una disarmante dolcezza, la durezza di Natalie disinnesca ogni tentativo di avvicinamento attraverso un’espressione ambivalente del desiderio che avvicina il corto della Panian, anche in termini cromatici, alla Jane Campion meno conosciuta (e più amata da chi scrive), quella “nera” di In the Cut. La sequenza in cui Sasha riesce nuovamente a rintracciarla all’interno di un bar è tutta condotta su una tensione erotica che non si attualizza mai, mentreil sound design elettrico di Martin Skalsky, Christian Schlumpf e Michael Duss gioca un ruolo tensivo fondamentale. Elaborazione di una perdita affettiva certamente, ma anche esplorazione oltre i confini del desiderio, dove Natalie occupa una posizione nomadica che le consente di osservare la realtà con occhi diversi. Anche quando tutto sembra giungere ad una conciliazione dei sentimenti più estremi rimane un profondo senso di inadeguatezza, come se ogni inizio contenesse già il senso della fine.

C’è qualcosa di Jane Campion anche nel corto della tedesca Barbara Kronenberg, dove il ricordo di un’estate passata consente a Ella Plummhoff di ripensare al suo percorso di formazione affettiva. Sovrappeso e in difficoltà con la scuola, sembra attratta dall’insegnante di danza, un bizzarro signore che si presenta sempre vestito di viola e con le extension al posto di un tradizionale parrucchino. Sono i consigli delle amiche che cercano di indirizzare il desiderio di Ella per l’altro sesso, ma l’incontro con la più giovane Ulrika, ragazzina rachitica e dai grandi occhiali incaricata di farle ripetizioni di matematica, le permetterà di osservare il mondo con occhi nuovi. La Kronenberg con Die Ballade von Ella Plummhoff  si allontana nettamente dal cinema tedesco degli ultimi venti anni, quello della Berliner Schule, e sceglie una strada più colorata, pop e visionaria. Se l’attenzione ai dettagli minimi del racconto di formazione fanno pensare alla Campion dei primi cortometraggi, sopratutto per l’ottimo senso dell’inquadratura e la relazione tra corpi e paesaggio, c’è qualcosa anche del cinema di Percy Adlon (Sugar Baby, Bagdad Cafè) per il modo in cui la realtà viene soggettivamente adattata al percorso interiore dei personaggi.

Barbara Kronenberg
Die Ballade von Ella Plummhoff di Barbara Kronenberg
Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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