venerdì, Novembre 22, 2024

Cannes 2014, tutti i film

Godard, Cronenberg, Loach, Leigh e i fratelli Dardenne, Atom Egoyan, Olivier Assayas, Naomi Kawase sono solo la punta dell’iceberg del palinsesto Cannense di quest’anno a cui si aggiungono autori più di nicchia ma di altrettanto valore come Nuri Bilge Ceylan, Andrej Zvjagincev, Abderrahmane Sissako

A circa quindici giorni dall’inizio della Kermesse e con i nomi della giuria internazionale appena confermati (Jane Campion che presiede la giuria e i membri: Carole Bouquet, Sofia Coppola, Leila Hatami, l’attrice coreana Jeon Do-Yeon, Willem Dafoe, Gael Garcìa Bernal, Jia Zhangke e Nicolas Winding Refn) vediamo di fare il punto della situazione

Atom Egoyan sarà presente con Captives, incentrato sul rapimento di una bambina e il disperato tentativo del padre di ritrovarla in una cupa atmosfera thrilling ed una fotografia dai toni freddi tra le nevi canadesi.
Nuri Bilge Ceylan, sempre fedele alle sue origini turche e alla cura fotografica, ambienta il suo Winter Sleep nella suggestiva cornice della Cappadocia che, grazie all’uso di una potente F65 della Sony dotata di un’enorme gamma di colori e di un’alta sensibilità, diventa una vera e propria co-protagonista, in un dramma in cui questa variegata estensione di immagini riflette i ritratti umani dei protagonisti.
In Mommy, film molto atteso del giovane Xavier Dolan, Ann Dorval è una vedova che, grazie all’aiuto di una misteriosa vicina interpretata da Suzanne Clement, dovrà far fronte ad un problematico figlio quindicenne. Tra insicurezze e drammi familiari, Dolan resta coerente con la sua impronta autoriale dai chiari cenni autobiografici. Per niente novizio al festival, già con J’ai tué ma mère (2009) suscitò grande interesse, per poi essere incluso gli anni successivi nella sezione Un Certain Regard con Les Amours Imaginaires (2010) e Laurence Anyways (2012). Dolan torna alla regia dopo Tom à la ferme, presentato allo scorso festival di Venezia

Altra habitué del festival è la giapponese Naomi Kawase, che già con il suo primo “feature film” del 1997  intitolato Moe no suzaku ottenne la Caméra d’or, per poi bissare dieci anni più tardi con il Grand Prix Speciale della Giuria con il bellissimo Mogari no mori   (2007). Mentre quest’anno sarà presente in gara con un film dal titolo Futatsume no Mado (Still the water), film di superficie noir ma dalle intenzioni esistenziali, che prende avvio dal ritrovamento di un cadavere da parte di un ragazzino che cercherà di far luce sul misterioso decesso, il tutto nella suggestiva ambientazione dell’isola giapponese di Amami-Oshima, che ci immaginiamo, la Kawase affronterà con il suo straordinario stile rituale.

Complessi anche i temi trattati dal film di Andrej Zvjagincev, Leviathan. Un dramma, a suo dire, sociale, tra rapporti interpersonali ed instabilità dell’uomo nella società contemporanea. Nel tentativo di replicare il successo ottenuto con Elena (2011), che gli valse un meritatissimo Premio Speciale della Giuria, il regista russo non si discosta da quelle tematiche di indispensabile rilievo e si avvale dello stesso produttore Alexander Rodnyasky.

Ad una co-produzione Franco-Svizzero-Tedesca ricorre invece Olivier Assayas in concorso dopo aver fatto parte della giuria del festival nel 2011 e già presente a Cannes con il suo episodio inserito nel film collettivo A Chacun son cinéma e intitolato Recrudescence. L’opera in concorso: Clouds of Sils Maria, vede la curiosa accoppiata Juliette Binoche e Kristen Stewart, che sveste i panni della mesta e cerea eroina di Twilight per indossare quelli più sobri della fedele assistente di un’attrice di gran successo (Binoche). Una fuga delle due donne nella città svizzera di Sils Maria che coincide con la presa di coscienza di un declino professionale.

Il cast della serie sui vampiri per teenager sembra essersi emancipato, oltre alla Stewart anche il tenebroso Robert Pattinson approda infatti a più autorevoli autori. Sarà al fianco di Julianne Moore e John Cusack e nuovamente in un film di David Cronenberg dopo Cosmopolis, dal titolo Maps to the Stars, storia di una famiglia californiana tra sogni, soldi, desideri e fantasmi. L’influsso dell’immaginario televisivo e cinematografico su una famiglia che, con intenti satirici, Cronenberg usa per estremizzare quella corruzione verso cui fatalmente la società si avvia. Un’opera sulla carta più vicina a Crash (1996) o Spider (2002), incentrati su drammi familiari e di coppia, che al body horror da cui sembra essersi discostato il regista canadese, ormai immessosi da tempo in una nuova fase. Un maestro che non si adagia sugli allori ma che continua a mutare o stravolgere forme espressive nutrendo costantemente il suo sguardo.

Un maestro cangiante e prolifico come si dimostra anche Jean-Luc Godard, che sperimenta l’uso del 3D nel suo ultimo lavoro presente a Cannes: Adieu au Langage. Dopo Herzog e Scorsese, anche l’artista francese usufruisce della visione in terza dimensione per comunicare la sua poetica. Mentre la Fox non ha perso tempo, accaparrandosi subito i diritti di distribuzione e acquistando l’opera per il mercato USA, noi attendiamo con ansia la proiezione ed il riscontro di pubblico. Una presenza importante e forse asfissiante quella di Godard, che si spera non oscuri troppo gli altri e altrettanto validi lavori, seppur meno sperimentali. Resta indubbiamente il favorito.

Altra favorita per l’assegnazione della Palma d’Oro sembra essere proprio la coppia dei fratelli Dardenne, altri big di quest’anno. Con il loro film Deux Jours, Une nuit ripropongono il consueto spaccato di vita espresso col tipico pathos e l’uso della camera a spalla. Temi attuali si incrociano con profondi quesiti morali. Il film racconta il tentativo di una donna di convincere i propri colleghi a rinunciare alla loro indennità in modo da poter mantenere il suo lavoro, tutto in un fine settimana. Come nin Rosetta (1999) il tema del lavoro e del tempo si ripresenta forte nella filosofia del duo belga, così come già sublimemente Bresson fece con Mouchette – tutta la vita in una notte (1967).

Il regista mauritano Abderrahmane Sissako ritorna a Cannes, ma questa volta nella selezione ufficiale, dopo la breve incursione fuori concorso con Bamako nel 2006. Ancora una volta il regista tratta una microstoria come pretesto per far emergere la dura realtà sociale dell’Africa occidentale. Timbuktu è infatti ispirato ad una storia vera che suscitò grande scalpore mediatico nel 2012: la pubblica lapidazione di una giovane coppia islamica non ufficialmente sposata e ritenuta per questo peccaminosa secondo le leggi divine. Un’opera sentita da Sissako come necessario atto testimoniale, per non dimenticare e far riflettere, nella speranza di un futuro migliore. Una storia vera raccontata con uno sguardo cosciente, allo scopo più istruttivo che sterilmente emozionante.

Tratto da una storia vera è anche il film di Bennett Miller: Foxcatcher, adattamento cinematografico dell’autobiografia del wrestler Mark Schultz, fratello di David Schultz, campione olimpico nel 1984, assassinato dall’amico e allenatore John du Pont nel 1996.

Curioso è invece il film con cui si presenta il premio Oscar francese Michel Hazanavicius, un “très personnel” remake del noto film di Fred Zinnemann “Odissea tragica” (The Search) del 1948. La Germania dell’immediato dopoguerra è però qui sostituita dalla guerra cecena. La protagonista sarà ancora, dopo l’ottima prova in The Artist, la bella Bérénice Bejo.

Promette bene anche Relatos Salvajes (Wild Tales) del regista argentino Damian Szifron. Un film prodotto da Almodovar, dall’originale struttura e con bizzarri personaggi interpretati da attori di eccellenza quali Ricardo Darìn, Dario Grandinetti e Rita Cortese.

L’unico film italiano in gara, se si esclude Incompresa di Asia Argento per la sezione Un Certain Regard, è Le Meraviglie della promettente Alice Rohrwacher, che si avvale della sorella Alba come protagonista e della guest star Monica Bellucci e torna alla regia dopo Corpo Celeste. L’estate di quattro sorelle isolate dal mondo in un piccolo e strano regno in armonia con la natura. La regista sfrutta le amene campagne toscane come metafora di compatto e incontaminato nucleo familiare, ben presto minato da imprevisti, quali l’arrivo di un ragazzo e l’incursione di un concorso televisivo a premi, tra esplicite allusioni autobiografiche nella figura dei genitori delle quattro sorelle (madre italiana e padre tedesco) e situazioni al limite del grottesco.

Veri e propri film biografici, oltre al film di Miller, sono invece quelli di Olivier Dahan, Bertrand Bonello, Ken Loach e Mike Leigh, il primo sulla vita di Grace Kelly, il secondo sul fashion designer Yves Saint Laurent, il terzo sull’artista inglese JMW Turner e il quarto sull’attivista James Gralton.

A Grace di Monaco, presente fuori concorso, è stata inoltre affidata la proiezione di apertura. Il film sembra si concentri sulle insicurezze e la crisi di identità dell’attrice e principessa (interpretata da Nicole Kidman), combattuta tra il desiderio di seguire la sua vocazione di attrice e il dovere di restare fedele al suo regno per appianarne le difficoltà. Mentre Saint Laurent racconta i demoni del designer francese, tra cui la sua discesa nella dipendenza di alcol e droghe. Il film sembra aver trovato riscontro favorevole da parte dell’ex compagno di Yves, Pierre Bergé, qui ben interpretato dall’attore Jérémie Renier. Infine, Loach e Leigh realizzano due biopic sulla vita del leader comunista irlandese James Gralton: Jimmy’s Hall e dell’artista JMW Turner: Mr. Turner, interpretato dal bravissimo Timothy Spall, tra i favoriti per un premio come miglior attore. La storia di un uomo dalle idee radicali in un contesto bigotto e di un grande artista che rivoluzionò l’arte, al loro tempo figure controverse, le cui vite furono già tutte un film.

Diretto e interpretato da Tommy Lee Jones è invece il film Homesman. Affiancato da Hilary Swank, l’attore americano ribadisce il concetto che il western non è ancora morto e, dalle poche immagini che circolano, il film sembra un degno prosecutore di quel neowestern proposto a suo tempo da Clint Eastwood. Temi e struttura narratologica consueta, ma un’accoppiata di certo originale rispetto al genere: un ladro e una pioniera decisi a scortare tre donne pazze in un viaggio dal Nebraska all’Iowa.

Per la sezione Un Certain Regard molti i titoli interessanti. Degno di nota sono soprattutto il film Charlie’s Country di Rolf de Heer. Il regista australiano dà comprova del suo innovativo sguardo alla realtà e alla vita, con un approccio quasi documentaristico. Già vincitore del Premio Speciale della Giuria nella suddetta sezione nel 2006 con 10 canoe, con la storia di Blackfella Charlie de Heer torna nei luoghi incontaminati e tra popoli indigeni (come il protagonista del suo film) dopo un parziale sconfinamento nel genere fantascientifico ed umoristico (Dr. Plonk – 2007).

Jessica Hausner ci racconta invece l’ambivalenza dell’Amore tra Vita e Morte con il suo Amour Fou, attraverso la vera storia del poeta Heinrich von Kleist e della sua compagna di vita e di morte Henriette Vogel. La Hausner rimette in questione la romantica visione dell’amore come unico mezzo per sconfiggere l’onnipotente morte e la credenza dei due amanti di poter eternare la loro unione dettando i termini della propria dipartita. Ma la vera protagonista risulterà la Morte stessa, unica forza realmente costante, che relega ineluttabilmente l’uomo alla solitudine, di contro al volubile Amore.

Infine, il noto attore Ryan Gosling debutta alla regia con Lost River, la storia di una famiglia che vive in una città chiamata appunto Lost River, luogo ormai spoglio di quell’aurea di certezze e prosperità. Una famiglia che cerca di non cedere al degrado dei sentimenti d’amore e felicità tenendosi attaccata a tutto ciò per cui vale la pena vivere. Un film sulla fiducia e sulla speranza che lascia trasparire un animo anche romantico dietro il bel faccino dell’attore canadese.

Una 67ª edizione che si prospetta ricca e poliedrica quindi; tra grandi conferme e nuovi sguardi, le due settimane di festival, in programma dal 14 al 25 Maggio, si inquadrano già come date di grande rilevanza per il cinema coevo.

Andrea Schiavone
Andrea Schiavone
Andrea Schiavone, appassionato di cinema ha deciso di intraprendere studi universitari in ambito cinematografico. Laureatosi in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza di Roma ed attualmente studente magistrale in Cinema, Televisione e New Media alla IULM di Milano.

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