domenica, Dicembre 22, 2024

Cartas da Guerra di Ivo M. Ferreira – Berlinale 66: Concorso

Prima ancora di diventare un celebrato scrittore Antonio Lobo Antunes viene inviato come medico di guerra in Angola tra il 1970 e il 1973. Da qui scriverà alla giovane moglie che l’aspetta in Portogallo lettere piene di erotismo. Tranne che all’inizio e alla fine del film, le epistole di Antonio sono lette da quella che si presume sua moglie, di cui vediamo alcuni frammenti di vita dentro la penombra di un’abitazione, dimensione probabilmente immaginale nata dalla mente dello stesso Antonio.

Il film, girato in un bianco e nero calibratissimo, utilizza il dispositivo epistolare per sovrapporre racconto, Storia Portoghese, flusso di coscienza e una combinazione intenzionalmente emozionale tra parola e immagine, dove le tracce d’amore dischiudono un senso ulteriore per definire il ruolo dell’esercito in Angola. Tra gli elementi del testo emergono una serie di canzoni portoghesi, tra pop, folk e musica popolare, tutte dei primi anni settanta.

L’operazione nel suo complesso fa venire in mente quella di Miguel Gomes con Tabu, ma senza che il testo diventi realmente combinatorio, perché rispetto al film del collega, quello di Ferreira ne è la versione addomesticata e lineare, a dispetto del tentativo di lavorare con la memoria e le sue tracce materiali (la sequenza della proiezione sul fumo), spesso innesco per un cinema forzatamente poetico e didascalico.

Questo rapporto tra presenza e assenza che Antonio indaga nella relazione a distanza con la moglie, nella scomparsa della figura materna e nella scoperta progressiva di un paese sconosciuto, raramente diventa un interstizio tra testo e immagine, perché se indubitabilmente la scrittura di Antunes, con quell’ipertrofia verbale che descrive il minimo dettaglio, ha una qualità assolutamente cinematica, Ferreira sembra interpretarla con una freddezza estetizzante discutibilissima, basta pensare al forte erotismo tattile con cui Antonio associa la moglie ad una serie di sensazioni empiriche, livello orale disinnescato successivamente da una visualizzazione simmetrica e letterale attraverso un’immagine che si serve dei contrasti luminosi per semplificare la forza possibile di quelle parole.

Anche la connessione tra le parole dedicate alla moglie e un nuovo punto di vista sulla cultura Angolana, elabora certamente una sinfonia visiva sfruttando il potenziale della scrittura stratificata di Antunes, per raccontare una Storia politica sottesa, ma è strategia che si rivela occasione persa proprio nel suo trasformarsi dichiaratissimo in un cinema di poesia, più per via tecnica che per intensità.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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