Gao chun è il capitano di un cargo che deve risalire il fiume Yangtze. I numerosi attracchi dischiudono la ricerca di un percorso amoroso che lo conduce dalla stessa donna, An Lu, ma in una dimensione temporale alterata che procede verso l’infanzia. Yang Chao, che con Passages si era servito del viaggio per raccontare il contrasto politico e culturale tra la Cina attuale e le sedimentazioni del tempo, torna a delineare una diversa storia della nazione attraverso il percorso del fiume azzurro, vettore di un duplice significato, storico e spirituale.
In Crosscurrent il tempo del racconto non aderisce semplicemente al flusso di coscienza di Gao Chun, ma costruisce una vera e propria topografia dell’anima secondo la quale tutto ciò che fa parte dell’esistenza è un ininterrotto flusso di coscienza, dove l’esperienza non contiene mai due istanti empirici identici. Si tratta chiaramente di una delle concezioni fondative del Buddismo, a cui il film fa esplicito riferimento seguendo il percorso a ritroso di An Lu dove l’origine ad un certo punto coincide con la fine.
Ma non ci sono solo le immagini del fiume a determinare un percorso che si dipana senza soluzione di continuità tra passato e presente, perché il viaggio di Gau Chun viene scandito da una raccolta di poesie che contaminano l’immagine, come stazioni da seguire, sovrimpresse nella forma di cartelli delimitanti, ma anche come ideogrammi sulla sabbia, pagine lette e strappate, un volume intero bruciato.
Se le apparizioni di An Lu sembrano manifestarsi ad un livello di surrealtà, mentre attraversa il fiume a nuoto o approda all’interno di una vecchia torre, il fiume e le imbarcazioni sembrano emergere dalla messa in scena come frammenti documentali, immagini di un digitale a bassissima definizione che paradossalmente tendono verso l’impermanenza e la fantasmaticità.
Se la convergenza di questi elementi a tratti suscita commozione, Yang Chao sembra affidarsi alla decostruzione in modo troppo tecnico, tanto da riuscire solo a metà nei suoi intenti, ovvero quelli di aprirsi al flusso della durata.
Viene in mente un altro film realizzato sul bordo di un fiume, come viaggio attraverso il tempo, ed è il bellissimo corto di Jia Zhangke prodotto nel 2009 e intitolato Cry Me a River, ma in quel caso la scoperta di uno stesso fiume dove “non è possibile bagnarsi due volte” è l’immagine di un’esperienza nel suo farsi.