lunedì, Dicembre 23, 2024

Citizen Kane di Orson Welles: la recensione

“Appartengo a quella generazione di cineasti che hanno deciso di fare film avendo visto Quarto Potere”.

Basterebbe questa frase di Francois Truffaut per comprendere l’importanza di Citizen Kane (Quarto Potere) nella storia del cinema mondiale. Basterebbe, ma non basta perché il capolavoro di Orson Welles è l’esempio lampante di come un’opera artistica vada oltre la propria effettiva valenza estetica.

Ci sono tanti spunti dai quali si può partire per analizzare Quarto potere. Come ben sappiamo, il film divenne un caso ancor prima di uscire nelle sale. Mai era successo infatti che una grande casa di produzione (la RKO, in questo caso) lasciasse totale autonomia ad un regista, peraltro esordiente come Welles. Nessun vincolo sulla sceneggiatura, sulla regia e un budget fuori dal comune, con un impiego di mezzi straordinari per il periodo. L’azzardo della RKO non si rivelò però molto azzeccato perché il film fu un mezzo disastro al botteghino e creò non pochi attriti tra Welles e gli stessi produttori.

Il caso Citizen Kane è tutt’ora vivo visto che oggi è ancora sottoposto ad una miriade di interpretazioni, molte delle quali in contrasto tra loro. C’è la storia principale, a metà tra ricostruzione giornalistica e fiction. Il giornalista Thompson cerca di ricostruire la vita di Charles Foster Kane e il mistero che si cela dietro l’ultima parola pronunciata dall’uomo prima di morire, “Rosebud”: l’infanzia infelice, l’ascesa imprenditoriale, l’impero costruito grazie ai rotocalchi e ai quotidiani, l’anelito politico e infine il crollo causato dalla folle ambizione (dietro Kane si nasconde neanche troppo velatamente la figura del magnate dell’informazione William Randolph Hearst).

C’è soprattutto la volontà di Welles di creare ambiguità, di giocare col pubblico, di spingere la macchina da presa e il cinema fino a dove nessuno aveva mai osato. “No trespassing” è il cartello che viene illuminato nella prima scena. Welles viola lo spazio del cinema, si porta oltre il divieto introducendo fin da subito quegli elementi semantici che faranno di Quarto Potere uno dei film più rivoluzionari nella storia del cinema: uno di questi, l’emblema della visione, si ripropone con costanza attraverso porte e finestre davanti alle quali la regia spesso indugia. La titubanza della macchina da presa è la stessa dello spettatore di fronte all’impossibilità di entrare dentro la testa di Kane, di intuirne le intenzioni. Welles manifesta la labilità della rappresentazione anche sfruttando l’estetica espressionista, segnata dalla dominanza del chiaroscuro e dagli spazi stravolti e irreali dall’utilizzo della prospettiva di campo e degli obiettivi grandangolari.

Welles carica ogni singola inquadratura di significato, non lascia nulla al caso: l’onirico si mischia al realismo, le riflessioni più profonde sono bagnate da una forte componente ironica che spesso ne rovescia il senso. Ci troviamo di fronte a tante scatole cinesi che, assieme al giornalista Thompson, vorremmo aprire senza però riuscire a trovare la verità cercata. Ecco che la beffa di Welles si perpetra anche nel doppio finale, con il giornalista Thompson che non riesce a risolvere l’enigma di Rosebud mentre lo spettatore, guidato dal consueto e avvolgente movimento della macchina, scopre il significato dell’ultima parola pronunciata da Kane.

Con Quarto Potere siamo di fronte a una svolta epocale. Il merito di Welles è aver rinnovato i codici stilistici del cinema hollywoodiano, dimostrando come un film possa essere trainato non solo dalla narrazione ma anche dalla componente semantica. Film sulla degenerazione dell’ambizione personale, manifesto contro il capitalismo spietato, pamphlet moralistico, dramma shakespeariano, opera beffarda e contraddittoria, Quarto potere segna uno spartiacque decisivo, l’ingresso di Welles nel mondo del cinema. Un uragano che travolge, lascia senza parole perché, per dirla come Truffaut, il cinema dopo l’avvento di Welles, non può più essere lo stesso.

 

Orson Welles

Citizen Kane

Cast: Orson Welles, Joseph Cotten, Willian Alland, Dorothy Comingore, Everett Sloane, Paul Stewart, Alan Ladd, Agnes Moorehead.

 

USA, 1941

Durata: 121 minuti.

Michele Nardini
Michele Nardini
Michele Nardini è laureato in Cinema, Teatro e produzione multimediale all’Università di Pisa e ha alle spalle un Master in Comunicazione pubblica e politica. Giornalista pubblicista, sta maturando esperienze in uffici stampa e in redazioni di quotidiani, ma la sua grande passione rimane il cinema

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