lunedì, Dicembre 23, 2024

Class Enemy di Rok Biček: la recensione

Con la sola eccezione di un preludio di Chopin, ripetuto più volte in posizione diegetica, Razredni Sovraznic, il primo lungometraggio diretto dal regista Sloveno Rok Biček, non fa utilizzo di musica, solo suono in presa diretta e una sceneggiatura, forse sin troppo ad orologeria, scritta dallo stesso Biček in collaborazione con Nejc Gazvoda.

Quando Robert (Igor Samobor) professore sostitutivo di tedesco, fa ingresso nella nuova scuola, farà fatica a farsi amare per i suoi metodi di apprendimento; rigoroso ed esigente mantiene un approccio inflessibile dentro e fuori dall’aula; parla quasi esclusivamente tedesco con gli allievi, non da confidenza al corpo insegnanti, sopratutto alla docente di educazione fisica che rivela subito un certo interesse extrascolastico nei suoi confronti. Quando affronterà duramente alcuni studenti per il loro scarso rendimento, Sabina (Daša Cupevski) mostrerà una fragilità insospettabile e si suiciderà gettandosi da una finestra della scuola.
L’elaborazione del lutto sarà un processo faticoso, e i ragazzi riverseranno tutta la loro rabbia nei confronti di Robert, sabotando le sue lezioni, appellandolo come un “nazista” e alzando persino le mani.
Il successivo confronto con i genitori dei ragazzi farà emergere a poco a poco una realtà molto più complessa e stratificata, rintracciando le radici di un malessere più esteso legato alla mancanza di fiducia e sicurezza in se stessi.

Rok Biček, classe 1985, dimostra una notevole capacità nella direzione degli attori in un contesto che avrebbe potuto scivolare facilmente nella forma episodica e negativamente corale; al contrario Class Enemy è un oggetto molto compatto e allo stesso tempo affronta la strada difficile di un racconto multi-soggettivo, che sposta progressivamente il livello di immedesimazione

Biček non gioca di prestigio e offre quasi sempre una prospettiva onesta ed equidistante; senza ricorrere all’arma dello svelamento ad effetto, sceglie la strada del racconto filosofico come possibilità di arricchimento, tanto che il film cambia insieme allo spettatore grazie a scelte che potremmo definire quasi didattiche.

Viene naturalmente da pensare ad una serie di pellicole più o meno simili nelle intenzioni, come il recente Monsieur Lazhar, la Classe di Cantet, American History X di Tony Kaye e un film di Jonathan Kaplan che per contrasto ci interessa maggiormente, ovvero Over the Edge (Giovani Guerrieri), diretto nella prima metà degli anni ’70, dove un gruppo di ragazzini nella sperduta New Granada vengono abbandonati a loro stessi da un sistema sociale che non ha l’interesse ad investire sulle strutture educative; i ragazzi, giunti all’acme della loro ribellione, chiuderanno genitori ed insegnanti dentro la palestra, prenderanno possesso della radio della scuola trasmettendo solamente punk rock e distruggeranno tutto quello che sarà loro possibile.

Nel film di Biček c’è una sequenza molto simile a quella appena descritta, ed è l’esigenza di affermare un proprio recinto espressivo da parte dei ragazzi mentre si chiudono dentro lo stanzino di vetro adibito alla piccola radio interna utilizzata per le comunicazioni didattiche; un tentativo di ribellione simile a quello dei Giovani Guerrieri di Kaplan, che distruggono tutto quello che li ostacola, ma con una drammaturgia dello spazio che punta proprio ad evidenziare la mancanza di permeabilità tra la scuola e il loro mondo; se il film del regista americano usciva in un contesto fecondo per spingere il pedale sul nichilismo rivoluzionario e realizzare una distopia anarcoide, Biček individua in modo abbastanza preciso la complessità di un sistema globale che ha perso il contatto con le possibilità didattiche per una saturazione di stimoli superflui che hanno radici ben più profonde; mentre la New Granada di Kaplan è una realtà brutale che non crede nella scuola, a partire dall’investimento economico, quella dove vivono i ragazzi di Class Enemy è in realtà un contesto che ha protetto i propri figli dal rischio delle scelte individuali.
Biček ci arriva piano piano, e noi con lui, attraverso sequenze come questa, quella delle maschere con il volto della ragazza defunta (piccola, magistrale sequenza sullo slittamento di senso) e senza offrire una risposta univoca, ma al contrario lasciando entrare prospettive diverse con una scrittura quasi maieutica.

Merito anche di una sceneggiatura, come si diceva, sin troppo ad orologeria, con dialoghi potenti e battute memorabili che hanno forse il piccolo limite di arrivare un attimo prima delle immagini a ricucire alcuni strappi e a spiegarci le cose.

Ma la figura più complessa e riuscita è proprio quella di Robert, con cui Biček mantiene una distanza complessa, legata al suo ruolo che gli consente in fondo di elaborare una bella idea di cinema: mentre i suoi metodi diventano più chiari, questi non si confondono con uno sviluppo “privato” del personaggio, che rimarrà in una posizione emotivamente distante, ma didatticamente partecipe; è la letteratura, la conocenza, l’essenza di una lingua che gli consentirà di offrire strumenti per elaborare un lutto o per spiegare il Nazismo dopo gli insulti ricevuti dai ragazzi; sta alla libertà di ciascuno, anche la nostra, coglierli liberamente.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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