Quello di Jim Mickle è un film fedelissimo fino all’ultima virgola al romanzo di Joe R Lansdale. Un romanzo che, d’altronde, contiene già in nuce un ritmo di forte ascendenza cinematografica. Niente di più appropriato per una storia che si sviluppa al ritmo più cupo del noir e che si rivela, in un colpo di scena finale, come una riflessione sulla violenza e il perverso piacere sessuale correlato alla visione.
Un padre di famiglia uccide per sbaglio un ladro nel suo salotto. Il senso di colpa lo spinge ad indagare sull’identità del ladro, fino a far affiorare i più turpi meccanismi di un sistema di giustizia e di tutto quel mercato di videocassette dai contenuti perversi. A porre fine allo scempio saranno tre personaggi completamente differenti tra di loro ma accomunati dagli stessi valori, in una società orami corrotta alla radice.
È una trama cadenzata da continui stravolgimenti, rivelazioni improvvise e risvolti comici e tragici. L’estremo Texas si tinge nuovamente di rosso e fa da sfondo alle scelleratezze di un’umanità alla deriva, privata di empatia e di senso morale. In un contesto del genere, il protagonista stona enormemente, preso dai rimorsi morali e alla ricerca di una rivalsa, una redenzione che lo porti dall’iniziale quesito “Non so chi ho ucciso” alla conclusiva affermazione “So bene chi uccido e perché lo faccio”.
Il romanzo, edito in italia con il titolo di Freddo a Luglio funge da perfetto supporto per la caratterizzazione dei protagonisti. Un Don Johnson, in particolare, che coglie a pieno l’essenza del suo personaggio e che sembra perfettamente cucitogli addosso dal duo sartoriale Mickle/Lansdale.
Ambientata nel 1989, la storia si fa anche canale di riflessione sulla piega degenere che la dipendenza dal video e dal sesso incomincia a prendere. La nascita e diffusione dello snuff movie si incrocia con un sistema di protezione testimoni che tollera e resta indifferente ad un mercato di prostituzione minorile e violenza. Ma lì nel vecchio sud sembrano ancora sopravvivere i valori, anche se a fatica, e il dubbio morale che porterà un padre a scegliere se uccidere il proprio figlio o permettere che continui a fare del male sarà facilmente risolto, nel solito, rude modo texano: “Cosa fai se il tuo cane ti si ritorce contro? O lo incateni o lo ammazzi. E io mio figlio non posso incatenarlo”.