Noah Baumbach e Jake Paltrow sono gli autori di una lunga intervista a Brian De Palma che la Film Society ha ospitato lo scorso autunno al Festival di New York.
Racconto in prima persona di una vita d’artista che dura da più di cinquant’anni, “è materiale troppo prezioso per non conservarlo” hanno pensato i due autori.
Ne è nato il documentario De Palma, presentato a Venezia72 in anteprima mondiale, Fuori Concorso, in occasione dell’omaggio al regista dello Jaeger-LeCoultre Glory to the Filmmaker Award, un premio dedicato a “personaggi che hanno dato contributi originali al cinema contemporaneo.”
Maestro indiscusso della New Hollywood, come sottolinea il direttore del festival Alberto Barbera, De Palma “… non ha mai perso la curiosità dello sperimentatore che reinventa il già visto quando si tratta di costruzione e manipolazione delle immagini, caratteristica fondamentale che lo rende uno dei più grandi innovatori della New Hollywood”.
In un piacevolissimo monologo ricco di aneddoti e vivaci pennellate che tracciano il ritratto a tutto tondo di una grande epoca del cinema americano, per quasi due ore De Palma si racconta con gusto e ironia, divertito spesso dalle sue stesse storie, che fa cominciare dall’infanzia, nella grande casa patriarcale del New Jersey, con mamma e papà che non andavano d’accordo (e qui c’è una nota horror/malinconico che potrebbe essere inserita nella genesi del suo cinema).
Racconta infatti che seguiva le amanti del padre fino allo studio vicino casa, e le avrebbe ammazzate, oh sì!, proprio come Michael Caine, parrucca bionda e trench nero, in Vestito per uccidere. E ancora, tanto, tanto sangue nei suoi film, certo, ne vedeva da ragazzino in sale operatorie al seguito del padre chirurgo ortopedico!
Dai ricordi di famiglia a quelli di scuola, scorrono fotografie e filmati d’epoca, l’America anni cinquanta e sessanta c’è tutta, con le feste, i giradischi bauletto, i primi amori, gli amici di quando al cinema non pensava affatto.
Ma poi arrivò Hitchcock e la folgorazione di Vertigo. Il suo destino di film maker era segnato e il resto è storia nota.
Da questo momento la sua biografia coincide con la storia del cinema degli ultimi cinquant’anni, non c’è più vita privata, o meglio, il cinema diventa il suo privato e il suo pubblico, come accade ad ogni grande artista.
Volti allora sconosciuti, giovanissimi, come Robert De Niro e Dustin Hoffmann, bei ricordi sul set con Sean Connery, il più glorioso fra gli 007, la disperazione con Orson Welles che non c’era verso imparasse le battute “… e come potevo, io!!!, dire a Welles di girare di nuovo la scena?”. Fotografati vicini, sono uno la metà dell’altro!
Per tutti Brian ha un ricordo personale, una battuta, un aneddoto, per ogni suo film emergono le radici di un processo creativo a volte stravagante, altre legato a contingenze inattese, tutti però con il marchio indelebile del suo genio, fin dall’inizio.
“Questo film è nato dal tempo trascorso con De Palma nel corso di una decina d’anni a parlare di cinema e del modo in cui egli crea i suoi film ” hanno detto Baumbach e Paltrow.
E in particolare per Noah Baumbach, pensando ai due ultimi successi, Passion per De Palma e Frances Ha per Baumbach, storie di donne apparentemente molto diverse in mondi antitetici e singolarmente ribaltati rispetto agli schemi di convenzionale rappresentazione (una Berlino super tecnologica a fronte di una New York old style piuttosto stazzonata), il feeling tra i due è forte, tangibile, sembrano contenere la stessa diversità del loro cinema, salvo scoprire, ad un’osservazione più attenta, che si tratta di due facce della stessa medaglia, o di una sola anima in due corpi.
La conferma è in quel background in cui si riconosce il loro linguaggio comune, quel microcosmo narcisista in vario modo emergente dallo sviluppo delle trame, che mette a nudo la costante “inadeguatezza” del personaggio chiave, Isabelle in Passion e Frances in Frances Ha, fragili esponenti di un’umanità vulnerabile e problematica, attratte e respinte allo stesso tempo dal mondo in cui si trovano a vivere.
Ma c’è altro, e tanto, che i due registi/biografi hanno saputo cogliere nelle storie che De Palma, faccione sempre sorridente ripreso a mezzobusto, infila una dopo l’altra in un diluvio di parole, fasci di luce che illuminano la scena, ora in un angolo ora nell’altro.
E’ la storia di un amore che dura da una vita, e ci auguriamo abbia ancora tanta strada davanti a sé.