Non c’è festival senza controfestival. La prima Settimana della critica organizzata in parallelo alla Berlinale risale al 1964, ospite d’onore Jean-Luc Godard e il suo programmatico “Band à part”. L’antitesi del festival berlinese divenne poi l’Internationales Forum des Jungen Films, per ironia della sorte inghiottito dalla kermesse e diventato la sua sezione più coraggiosa (Forum). Dal 2005, per una manciata d’anni, la Troma lanciò il guanto della sfida organizzando la strepitosa Tromanale al Tacheles: ultimi fuochi di una Berlino selvatica, ruspante, ormai scomparsa. E quest’anno, a sorpresa, è tornata la Woche der Kritik, con dodici proiezioni presso gli Hackesche Höfe.
La serata conclusiva è stata dedicata all’ultimo film di Christoph Hochhäusler, già passato alla Festa di Roma, a Hof e a Rotterdam, con un corto introduttivo del giovanissimo Jan Bachmann, “Man müsste Räuber sein oder zumindest Sprengmeister” (‘bisognerebbe fare i rapinatori o almeno i demolitori’), ottimo esempio di creatività da scuola di cinema, a metà strada tra stato brado e disciplina, adorabilmente confuso sul piano contenutistico. Controcanto perfetto del film di Hochhäusler, impeccabile nella realizzazione e politico, molto politico (cosa rara, in Germania) in sede di sceneggiatura.
Christoph Hochhäusler è stata una delle punte di diamante della cosiddetta Berliner Schule, corrente stilistica nata da una rivista – come ai tempi della nouvelle vague – alla quale si sono poi avvicinati autori importanti come Thomas Arslan, Christian Petzold, Angela Schanelec. Storico sodale di Hochhäusler, nonché co-fondatore della rivista in questione, «Revolver», è Benjamin Heisenberg, autore di almeno due film straordinari, “Schläfer” (2005) e “Der Räuber”, oltre che della commedia “Über-Ich und Du”.
Autentico custode dell’e(ste)tica pulitissima, sobria e lineare della «scuola berlinese», Hochhäusler si è fatto conoscere con “Milchwald” (2003, scritto con Heisenberg), “Falscher Bekenner” (2005) e soprattutto con “Unter dir die Stadt” (2011), film d’amore folle, affari sporchi e alta finanza ambientato nella centrale del potere europeo, Francoforte. Nuovamente sceneggiato insieme a Ulrich Peltzer, Die Lügen der Sieger è il gemello di “Unter dir die Stadt”: un film sul potere, sulla sua carica distruttiva e logorante, sulla sua capacità di scrivere la storia a prescindere dalla verità fattuale. Stavolta la narrazione s’impernia sul mondo del giornalismo e su quello della politica che bazzica il Bundestag e i ristoranti a tre stelle. Le riprese sono state effettuate nella capitale.
Trattandosi di un giallo, ogni riferimento alla trama rischia di essere uno spoiler. Basti dire che il personaggio principale (Florian David Fitz) è un giornalista diabetico che lavora per «Die Woche», settimanale fittizio molto simile allo «Spiegel», e che il tutto ruota attorno alla missione tedesca in Afghanistan – ormai percepita dall’opinione pubblica come una sorta di Vietnam – e al traffico di rifiuti tossici. Pur non ispirandosi a fatti realmente accaduti, la pellicola lancia strali micidiali al «sistema», ai poteri forti, all’opacità dell’informazione generalista.
Detto questo, la solidità della sceneggiatura funge da mero cavallo di Troia per i reali meriti del film. Hochhäusler ha studiato architettura, e si vede. Il suo è un cinema di riflessi, trasparenze, superfici vetrose, geometrie urbane. La Berlino di Die Lügen der Sieger sembra filmata da Patrick Keiller (il documentatista-teorico dei «Robinson» girati a Londra e dintorni), con un acume, nella scelta delle location e delle singole inquadrature, che riesce a evitare scorci ritriti e banalità involontarie, complice il direttore della fotografia Reinhold Vorschneider. La musica di Benedikt Schiefer, minimalista e riverberante, si sincronizza a meraviglia con le immagini.
A ben vedere, Hochhäusler vorrebbe fare solo film à la Chris Marker: l’astrazione pura unita allo sberleffo militante. E la forma cui è approdato è un compromesso di altissimo profilo. Per capire cosa gli passa davvero per la testa conviene tuttavia riguardarsi il corto inserito nel collettaneo “Deutschland 09”, dal titolo “Séance”. Fantascienza formalista. Questa, sì una ghiotta nicchia per soli critici, al pari del riferimento letterario contenuto nel titolo dell’ultimo film (‘Le bugie dei vincitori’), vale a dire il poeta beat Lawrence Ferlinghetti: “History is made / of the lies of the victors’ / But you would never dream it / From the covers of the textbooks”.