Il regista Ungherese Kornél Mundruczó torna a Cannes nella sezione Un Certain Regard con il suo nuovo Fehér Isten (White God) vero e proprio racconto ammonitorio, una distopia, o quello che gli inglesi, con un’espressione molto precisa, definiscono “cautionary tale”. Il film racconta di Lili, ragazzina tredicenne e del suo cane, un bastardo chiamato Hagen. Sui bastardi c’è una legge che impone il pagamento di una tassa per favorire i cani di razze selezionate; per questo Lili decide di darsi da fare per tenersi il cane. Il padre della ragazza decide di abbandonare l’animale per la strada e Lili ovviamente, non vuol sentir ragioni, ma alla fine è quello che accade. Lili si sente tradita e per questo decide di mettersi alla ricerca di Hagen per salvarlo. L’animale, dalla sua parte, si rende conto che l’uomo non è cosi amichevole e si imbatte in una serie di disavventure pericolose tra cui l’incontro con un accalappiacani, un barbone stronzo e un addestratore di cani da combattimento senza scrupoli. Hagen si unirà allora ad un branco di cani abbandonati per poi essere catturato nuovamente. Ma ci sarà una nuova opportunità di fuga, e tutto il branco progetterà una rivolta senza alcuna pietà contro il genere umano, solo Lili potrebbe porre fine a questa guerra tra uomini e cani.
Per Mundruczó White Dog è quello che lui stesso chiama una prima sperimentazione di “genere” o sul “genere”, ispirata agli effetti della globalizzazione e ai privilegi di natura para-castale raggiunti dall’occidente. Il film nasce da queste considerazioni e da un rovesciamento delle certezze che la massa privilegiata, più che la classe, ha raggiunto, cercando di addomesticare le minoranze quando non è riuscita a distruggerle e negando qualsiasi possibilità di convivenza civile. “Per questo ho scelto i cani” dice Mundruczó “li ho scelti per abbandonare qualsiasi tipo di tabù nell’affrontare questo contrasto che mi interessava, fondendo cosi le istanze di un revenge movie con la qualità allegorica dei film e delle storie che mettono gli animali al centro, per ottenere un tono teso e allo stesso tempo emotivo”
Lili ha per Mundruczó il segno di una purezza che gli adulti hanno perso e allo stesso tempo un’integrità che è stata completamente persa: “lei ha il coraggio di ribellarsi e di opporsi alla legge, a costo di mettere in pericolo la sua stessa vita” . Il regista ungherese ha scelto quindi una prospettiva simbolica, dove i cani rappresentano l’immagine degli eterni emarginati e dove il padrone è il loro dio. “ma com’è dio?” si chiede Mundruczó “è bianco oppure ogni persona ha il proprio dio dentro di se?”
White dog è quindi un film molto differente dai precedenti di Mundruczó, l’esigenza è quella di spaziare in nuove forme e nuovi generi per trovare un pubblico più ampio, ma in termini di stile, ha detto il regista “questo è un film mio e con il mio stile, dall’inizio alla fine”. Una critica all’attuale e forse ad una futura Ungheria ma anche ad una realtà che sta diventando Europea e che potrebbe esplodere in una rivolta sociale incontrollabile, se “i politici non smetteranno di fare le star nei reality show che approntano ogni giorno”
Lavorare con gli animali, per il regista ungherese, è stata un’esperienza meravigliosa: “tutti i cani che ci sono nel film erano in precedenti condizioni di abbandono, e dopo la fine delle riprese sono stati adottati”. Da un punto di vista tecnico non ci sono stati problemi rilevanti e tutti gli animali sono stati guidati da addestratori qualificati, in un certo senso, dice Mundruczó” nell’interazione, i cani sono diventati attori, e gli attori cani”; una produzione comunque complessa, considerato che il regista ha dovuto lavorare con circa 250 animali. Il film segna anche un cambio nello staff di lavoro, dopo la lunga collaborazione con Viktória Petrányi, Mundruczó ha lavorato con la sceneggiatrice Kata Wéber sua collaboratrice più recente.
La direzione della fotografia è affidata a Marcell Rév, che ha scelto uno stile documentaristico e in certi casi vicino al tono dei film scientifici sugli animali. in “White Dog” c’è un utilizzo ironico e dialettico della nota Rapsodia Ungherese, che contrappone la parte dove Lili si prepara per il concerto annuale alla furia dei cani. Una musica “conosciuta” che identifica immediatamente l’Ungheria, ma che per Mundruczó sembra occasione di rovesciamento e di contrasto tra l’atmosfera di un racconto per ragazzi (Lili che suona la tromba nell’ensamble scolastico) è i toni più oscuri della rivolta.
Curioso che il titolo internazionale sia “White God” sorta di gioco probabilmente consapevole; l’anagramma di god combinato con white potrebbe infatti ricordare l’ultimo, bellissimo film di Samuel Fuller, “white dog” che era già un’allegoria sul potere e sul male.