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Foxcatcher di Bennet Miller a Cannes 2014: l’incontro con l’autore e il cast

Quinto film per Bennet Miller, Foxcatcher arriva a tre anni di distanza da “moneyball” (L’arte di vincere) ed è il primo lavoro del regista americano a non sfruttare un background di tipo letterario. Basato su una storia vera, racconta le vicende che hanno intrecciato le vite dei due campioni di wrestling Dave e Markus Schultz con quella del multi milionario John du Pont, che in uno dei suoi momenti di megalomania, decide di “comprarli” mettendo loro a disposizione tutta l’attrezzatura necessaria per gli allenamenti, allo scopo di improvvisarsi allenatore della migliore squadra americana di Wrestling. Un intreccio che scatenerà conseguenze terribili tra decadenza, paranoia e schizofrenia, fino all’omicidio di Dave Schultz per mano di Dupont, che nel 1997 costò il carcere al ricco mecenate.

“Quando mi sono avvicinato a questa storia per la prima volta, sapevo che c’era qualcosa che andava oltre le vicende stesse” ha detto Bennet Miller in conferenza stampa a Cannes “qualcosa che mi consentisse di parlare di noi e del nostro paese. Non è un film politico, è un film che cerca di interrogarsi su alcuni aspetti della società come per esempio la decadenza. In questo senso è come se avessimo utilizzato un microscopio sugli eventi. Puoi comprendere l’universo attraverso un telescopio, ma talvolta è necessario servirsi di un microscopio”

E la trasformazione di Steve Carrel nel miliardario John Du Pont sembra confermare questo spirito di osservazione entomologico; l’attore conosciuto sopratutto per la sua comicità subisce più di una metamorfosi, la prima sul piano prostetico, con una serie di accorgimenti fisici che lo avvicinano incredibilmente al milionario, la seconda di natura psicologica, con un’interpretazione potentissima, capace di creare un personaggio mostruoso tra psicopatia e la “grandeur” di un gangster.

“Non si avvicina a niente di quello che ha fatto fino ad ora” ha detto Miller in conferenza stampa “quello di du Pont è un ruolo completamente fuori dalle abitudini di Steve, e prima non avevo visto niente per poter avere una prova concreta che avrebbe potuto interpretarlo; ma ne abbiamo parlato a lungo e ho capito che aveva già un’idea precisa sul personaggio, per questo ho pensato di affidarglielo; avrebbe potuto essere doloroso, ma era determinatissimo. […] Credo che tutti i comici abbiano in fondo un lato oscuro”

“Mi sono documentato il più possibile su Du Pont” ha aggiunto Carrell “e ho cercato di comprendere a fondo la sua psicologia”; un lavoro sostenuto e reso possibile dalla megalomania del miliardario che aveva commissionato e prodotto un gran numero di documentari sulla sua stessa vita.

Una fusione tra attore e personaggio che è stata oggetto di una domanda in conferenza stampa, non solo in relazione al lavoro di Carrell ma anche a Philip Seymour Hoffman, che aveva vinto un oscar nel ruolo di Truman Capote nel film diretto dallo stesso Miller: “vorrei evitare di rispondere, perchè mi emoziona molto, lavorare con attori che ripongono totale fiducia in quello che fai, è una cosa per cui non puoi far altro che dimostrare eterna gratitudine”

Per quanto la ricerca su un personaggio possa essere approfondita, alla fine tutta la documentazione perde di peso quando si passa allo stadio interpretativo “è un’esperienza diversa”, ha detto Carrell “e il merito è della costruzione che Bennet ha elaborato”

Dal punto di vista dell’immedesimazione, il momento più difficile si è verificato quando Careell ha incontrato la vera moglie di Schultz, mentre vestiva i panni di Du Pont “ricordo di averla avvicinata come se fossi Du Pont, emotivamente è stato difficilissimo, ma lei è stata davvero molto comprensiva rispetto al lavoro che stavamo cercando di fare”

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