Free in Deed di Jake Mahaffy – Usa, Nuova Zelanda, 98’ David Harewood, Edwina Findley
Free in Deed di Jake Mahaffy è basato su fatti realmente accaduti. Il film è ambientato nell’universo delle chiese pentecostali ricavate in locali di fortuna. In una di queste una madre porta il figlio a curarsi, ma la preghiera non sembra guarire il bambino, anzi la situazione sembra peggiorare.
Free in Deed di Jake Mahaffy in conferenza stampa a Venezia 72.
Prima domanda per il regista Jake Mahaffy:
puoi descriverci la genesi di questo film?
Nel 2003 ho letto un articolo su questa storia e ho deciso di girare questo film. E’ una storia vera, che ha avuto luogo in una chiesa di fortuna, cosa usuale negli USA. Da bambino, ho frequentato chiese simili a quelle che si vedono nel film. Anche per questo ho voluto girare questo film.
Il titolo è bellissimo, un gioco di parole tra “libertà” e “impegno, legame, connessioni”
Ci sono varie origini per il titolo che abbiamo scelto, risponde il regista Jake Mahaffy, è anche una citazione dal nuovo testamento.
Nel titolo, volevamo anche esprimere il concetto di libertà che arriva tramite azioni concrete e reali, non solo attraverso il credere. Inoltre, la libertà si esprime anche attraverso l’autonomia in parte negata nel film.
Prima di girare questo film, lavoravo sempre da solo, girando con attori volontari non professionisti. Giravo film senza budget, senza programmazione e organizzazione. Questo film invece è stato strutturato, girato in 19 giorni. E’ un modo di lavorare completamente diverso, ci si sente molto supporti lavorando in team.
Interviene il produttore M. S. Ryan:
E’ stato difficile trovare il budget per girare questo film. Ho quindi parte della colpa per la lentezza con cui siamo riusciti a realizzarlo.
Alla protagonista Edwina Findley, come è stato lavorare con attori non professionisti?
Risponde Edwina Findley (che interpreta la madre del bambino in Free in deed):
Mi è piaciuto molto girare questo film lavorando con attori non professionisti, ho trovato molto stimolante questo modo di lavorare.
Mi piace lavorare con la comunità locale. Nelle scene girate in chiesa, ad esempio, è stato bello avere persone che andavano realmente in quella chiesa. E’ stato interessante girare con la presenza dei bambini che si comportano in modo spontaneo, si meravigliano delle cose e aiutano noi attori a calarsi nella realtà della comunità che volevamo descrivere.
E’ interessante come il film affronti il problema della fede, qual’è stata la reazione della comunità pentecostale?
All’inizio non sapevamo se saremmo stati allontanati o accettati dalla comunità, risponde il regista Jake Mahaffy, invece le comunità si sono dimostrate aperte e ci hanno permesso di girare.
Siamo riusciti a fargli capire che avremmo riprodotto il loro credo e per questo non siamo stati allontanati, direi che siamo stati fortunati. Abbiamo incontrato tante persone che volevano partecipare spontaneamente al film. Sono entrato molto in empatia con i personaggi, per capire cosa era davvero successo.
In Europa la chiesa è molto più istituzionalizzata, cosa sono queste “chiese di fortuna”?
Oltre ad essere delle chiese, risponde il regista di “Free in deed”, sono centri di supporto per le persone.
Ci sono molti stabili abbandonati, così le persone si mettono insieme e creano queste “chiese” come fossero una famiglia allargata, si crea una struttura che cerca di dare anche un sostegno sociale alla comunità.
Che legame c’è tra il fatto realmente accaduto ed il film?
Ho incontrato tutte le persone coinvolte nella storia. Ho voluto capire i personaggi coinvolti, e le loro spiegazioni. Volevo cercare di comprendere questa storia direttamente dai racconti delle persone coinvolte.
All’inizio pensavo di girare un documentario, ma alla fine, dopo che alcune interviste non erano andate troppo bene, ho scelto di scrivere una sceneggiatura, virando su una storia di fiction pura basata su fatti realmente accaduti.