Home news Heaven knows what di Josh & Ben Safdie – Venezia 71, Orizzonti

Heaven knows what di Josh & Ben Safdie – Venezia 71, Orizzonti

Josh e Ben Safdie, due registi indipendenti newyorkesi, già riconosciuti dalla critica per i loro precedenti lavori “ The pleasure of being robbed” “Daddy longles” e “Lenny cooke”, portano sullo schermo un’esperienza di vita vera, quella di Arielle Holmes, giovane senzatetto con una forte dipendenza dall’eroina, che i due hanno incontrato per le strade di New York e hanno convinto a scrivere un’autobiografia: “una delle cose più entusiasmanti che abbiamo mai letto” hanno dichiarato i Safdie.

Il film mette insieme alcuni eventi della vita di Arielle, che nel film interpreta sè stessa, con le strategie narrattive del cinema veritè, coprendo una gamma di riferimenti che vanno da Pasolini a tutte le nuove onde degli anni ’60, passando per la rielaborazione di questi stimoli filtrata dal più recente cinema documentaristico digitale. I Safdie si servono quindi di attori non professionisti presi dalle strade dei quartieri malfamati della grande mela. Li filmano da lontano, aumentando la distanza tra corpi e macchina da presa e inseriscono solo alcuni elementi esterni, come l’attore Caleb Laundry Jones (già visto in “X – men: first class”, capace di immergersi pienamente e “pericolosamente” nei ruoli che interpreta) e il rapper Necro, completamente a suo agio nell’ambiente underground Newyorchese.

In ogni situazione descritta, emerge una realtà dursissima, che registra la ripetitività di gesti e azioni legate al consumo di droga, la perdita di coscienza, il malessere tra derive urbane e appartamenti squallidi. Una spinta verso l’autodistruzione che porta ad una progressiva rimozione dell’interiorità cognitiva dei protagonisti, sostituita da un vuoto vitale che può essere colmato soltanto dalla prossima dose.

Lo stile dei due registi è secco, oggettivo, e proprio grazie a queste caratteristiche il film riesce a colpire lo spettatore duramente, mostrando una realtà cruda e senza via di uscita. L’ impatto emotivo è rafforzato grazie ad un sapiente uso del montaggio e delle musiche, principalmente quelle del compositore elettronico Isao Tomita, che contribuiscono a generare in chi guarda una condizione di disequilibrio tra angoscia e pietà, ma allo stesso tempo anche a creare sequenze di immagini molto seduttive, al di là della durezza del contenuto; la scena in cui Arielle è si addormenta dopo una forte dose di eroina,  e viene abbandonata in autobus dal suo ragazzo è un esempio di questa sinestesia tra musica e immagini, per le azioni che si susseguono al ritmo martellante dei beat elettronici, combinazione che espande la percezione dell’immagine e allo stesso tempo disturba per la ripetitività psicotropa.

Il film ha un andamento circolare che non punta ad una soluzione del racconto, confermando lo sguardo entomologico dei due autori che supera il rischio di una scorciatoia morale. Arielle è un po’ come  l’Anna di Grifi,  preesiste e va oltre lo spazio dell’inquadratura, continuando il suo percorso di disintossicazione.

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