Una lavagna pulita è la prima immagine che vediamo di I Comme Iran, superficie priva di segni che a breve ospiterà i caratteri della lingua persiana insegnati da Behrouz Majidi. Di fronte un banco, e sopra lo stesso un libro di esercizi la cui pubblicazione risale al periodo della rivoluzione islamica del 1979. È lo strumento di apprendimento per la stessa Sanaz Azari, iraniana trasferitasi in Belgio con la famiglia e desiderosa di conoscere meglio la lingua della madre imparata attraverso l’acquisizione spontanea.
Durante la lezione, l’insegnante si soffermerà sulle singole parole spiegandone l’origine e l’etimologia e collegandole alla formazione di alcune immagini, le stesse che riempiono il libro di testo, utili per comprendere il significato ma anche sistema associativo affiancato da Sanaz ai tentativi di lettura e a quelli di pronuncia.
Ma la sessione di studio si trasforma a poco a poco in qualcosa di molto più complesso che dal singolo suono passa alla formazione di un racconto attraverso la storia culturale e politica dell’Iran. Behrouz Majidi si serve di accorgimenti espressivi vicini all’idea di linguaggio figurato, spiegando le costruzioni linguistiche in un contesto che fuoriesce dai confini dell’analisi sintattica. In parallelo, la macchina da presa della Azari si allinea al suo stesso punto di vista come discente, così da ricombinare le figure del libro di testo insieme alla sua voce in una relazione asincrona tra immagine e parola, conducendo il racconto in una direzione inaspettata, più vicina alla percezione emotiva e politica di due esuli che costruiscono l’immagine di un paese al di là delle descrizioni convenzionali.
Sanaz Anari indaga quindi il rapporto stretto tra la lingua e le sue sedimentazioni storiche, utilizzando le parole come un veicolo di analisi molto più profondo; qualsiasi parola affrontata, acqua, latte, vino, dischiude una realtà narrativa radicata nella Storia iraniana e consente a Behrouz Majidi di passare dal segno al racconto, attraverso l’improvvisazione.
Lo spazio manifestato non è più quello dell’apprendimento frontale ma la forma libera e associativa del linguaggio poetico; le immagini del libro cominciano a riempire l’inquadratura e si succedono prima per descrivere visivamente fonemi e lessemi, ma a poco a poco trasferendo i significati su un piano più allusivo e interpretativo, conducendo il desiderio di conoscenza di Sanaz e anche il nostro verso un’idea di Iran che non coincide con quella che ci aspettavamo.
Non sono solamente i concetti di rivoluzione e libertà che consentono a Behrouz Majidi di trasferire alcune idee legate alla trasformazione del suo paese dal 1979 fino ad oggi, ma è la documentazione di un “sentire” intimo e allo stesso tempo collettivo che attraverso il racconto orale testimonia la necessità di libertà come una forza connaturata alla gente del suo popolo ed in seguito tradita.
Shiraz, per esempio subisce una vera e propria sovrapposizione semantica, perchè consente a Behrouz Majidi di parlare della città e allo stesso tempo del vino, creando un legame tra la tradizione e la Storia attraverso suoni che diventano odori e sapori di un percorso cognitivo.
Il ruolo della “definizione” viene quindi dislocato, creando un’apertura tra il dialogo di Sanaz con Behrouz e il nostro punto di vista, quello a cui in fondo è indirizzata la lavagna vuota della prima immagine, una libertà interpretativa che diventerà chiara quando gli elementi e gli stimoli a disposizione saranno moltissimi e il racconto del film diventerà squisitamente elegiaco.
I Comme Iran va oltre il significato della parola e dell’immagine rappresentata, portandoci verso una concezione molto più ricca in termini identitari, perchè non coinvolge solamente la nostalgia e il desiderio per la propria terra delle persone coinvolte nella realizzazione del film, ma ci invita a confrontarci con il nostro personale concetto di identità mediante la sola forza del verbo che diventa immagine, una lezione di cinema tout court, intesa nel suo senso più profondo di coscienza in movimento.