Sono lontani i tempi de La corta notte delle bambole di vetro. Più di quarant’anni nei quali Aldo Lado, con fortune alterne, ha attraversato il cinema italiano con un ruolo marginale, dando un’interpretazione personale alla politica dei generi: dall’horror al thriller, dalla commedia alla farsa. Con Il notturno di Chopin, uscito nel 2012, il regista ha interrotto un lungo periodo di inattività ed è tornato dietro alla macchina da presa per un’esperienza particolare, un film autoprodotto che purtroppo non ha trovato distribuzione e che viene rilanciato sul mercato dal DVD da CG Home Video con marchio CineKult
Dopotutto, in un momento storico come quello che stiamo vivendo, è difficile che un regista fuori dagli schemi come Aldo Lado possa trovare un pubblico adatto alle esigenze del botteghino. Perlopiù “Il notturno di Chopin” segna un vero e proprio ritorno alle origini: proprio come ne “La corta notte delle bambole di vetro”, l’argomento verte attorno a una sparizione: ma se nel suo film d’esordio Lado arricchiva lo spunto con una vicenda che virava verso la denuncia sociale e finiva per essere influenzata dagli slanci post sessantoteschi, ipotizzando complotti fanta-politici, qui il film si presenta come una metafora della condizione e della cattiveria umana. Una bambina viene rapita mentre sta giocando assieme a un’amica in un parco e viene rinchiusa dentro uno scantinato da un misterioso uomo che Lado decide di non mostrare mai in scena. Da sola, in una disperata lotta di sopravvivenza, la bambina cercherà una via di fuga al suo dramma.
“Riflettendo sul rapimento di una bambina, mi sono reso conto che tutta l’opinione pubblica pensa alla sofferenza dei genitori ma nessuno si è mai posto il problema di quello che passa un bambino che viene strappato alla sua quotidianità“. La scelta di Lado è netta: a parte la sequenza iniziale, ambientata nel parco teatro della sparizione, tutto il film è girato in ambienti interni: lo scenario è unico, la prigione della bambina, e l’insistenza nell’uso del dettaglio determinano la volontà di avvicinare lo stato d’animo della protagonista con la percezione spettatoriale. Lo spazio interno diviene così il regno del claustrofobico, dell’oppressione, del tempo che passa inesorabile senza soluzione di continuità.
La bambina ha solo due contatti con l’esterno: uno è visivo e unidirezionale, ovvero la porzione di mondo che si apre oltre la grata dello scantinato. Una porzione di mondo fredda, immutabile, che si affaccia sul ponte di un fiume. Da qui la bambina assiste alla rappresentazione falsa e surreale di una realtà appiattita sull’apparenza, incapace di guardare in profondità; dinanzi ai suoi occhi impauriti si susseguono la ragazza in bicicletta che canticchia Bella Ciao, il clown che promuove gli spettacoli del circo, il corteo funebre in cui nessuno porta i segni del lutto ma tutti sono impegnati in altre cose: chi litiga per l’eredità, chi disquisisce distratto, chi accompagna svogliato il feretro.
Il secondo contatto con il mondo esterno è di tipo uditivo ed è il suono di un pianoforte: ai piani alti del rudere dove è rinchiusa la bambina si nasconde il rapitore che cerca inutilmente di portare a termine la composizione de Il notturno di Chopin.
Lado si conferma “mestierante” del cinema di genere: nel thriller/horror ha saputo dare il meglio di sé e pure in questo film, seppur nei limiti di un budget ridotto, che si nutre della pratica dell’autofinanziamento, sono presenti ottime trovate registiche: dal piano sequenza iniziale in soggettiva, l’unico momento in cui l’occhio della macchina da presa coincide con quello del rapitore, alla frammentazione dello spazio chiuso, garantita da un montaggio focalizzato sugli oggetti e sui particolari.
Oltre al film, il DVD CineKult presenta due extra, “Notturno con Backstage” e “Dove ti porta il fiume”. Il primo è un backstage dalla struttura tradizionale: alle interviste con il regista e gli attori si alternano le riprese sul set dalle quali si evincono le modalità di messa in scena e messa in quadro utilizzate da Lado: l’importanza data allo spazio scenico, il ruolo dell’improvvisazione, non costretto necessariamente dalla presenza della sceneggiatura.
Nel breve documentario “Dove ti porta il fiume”, Lado espone il suo concetto di cinema e il senso complessivo di un film che non segna solo il ritorno di un vecchio artigiano: è anche la volontà di esprimere qualcosa di nuovo, nel solco di una cinematografia che si alimenta della propria ostinata e ostentata marginalità.