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Il ragazzo invisibile di Gabriele Salvatores: la recensione

Più interessato a divertirsi con le contaminazioni trans-mediali, nel tentativo di inventarsi una versione europea dei cine-comic, Gabriele Salvatores con "Il Ragazzo Invisibile" realizza un film spaccato in due, tra tentazioni transmediali e un gioco "da ragazzi"

Scritto da Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo, tre sceneggiatori che si sono mossi negli ultimi anni tra cinema e televisione, “Il ragazzo invisibile” mostra in superficie gli elementi di una contaminazione tra i due mondi non così consueta in Italia e che sta cominciando a farsi strada attraverso il successo di serie come Gomorra oppure la versione “espansa” di “Tutta Colpa di Freud” trasmessa recentemente da Canale 5 con trenta minuti aggiuntivi. Il film di Salvatores in questo senso si apre ad infinite moltiplicazioni e alla costruzione di una nuova mitopoiesi di genere che non si conclude nello spazio della sala.

Al di la di questo, se non diamo troppo credito all’ennesimo tentativo di rilanciare una possibile via Italiana al cinema di genere come se fosse un atto di “coraggio” credibile, quello che rimane dopo la visione de “Il ragazzo invisibile” è un contrasto evidente tra la superficie della confezione visuale e la volontà, perseguita fino a un certo punto, di lavorare sull’adolescenza in modo vivo; intenzione sottolineata anche dal titolo stesso del film, legato in un certo senso alla tradizione italiana della letteratura per ragazzi e alla stagione sommersa e misconosciuta dei supereroi italiani come quelli inventati negli anni sessanta da Luigi Grecchi.

È inutile negarlo, perché c’è un punto di contrasto flagrante tra i due aspetti, sopratutto quando l’azione meccanica nel film di Salvatores si risolve in modo maldestro, trovando riparo nell’esasperazione degli elementi metadiscorsivi del fumetto, mentre al contrario, diventa positivamente emotiva attraverso la vicinanza ad un gioco di ragazzi che a contatto con i loro sogni, mischiano i confini tra desiderio e realtà nello spazio immaginale della simulazione.

Basta pensare in questo senso all’ambivalenza delle sequenze dove ci si riferisce ad alcuni classici del cinema, perché tra l’artificiosità citazionista delle due bambine di Arbus/Kubrick che si parano davanti a Michele durante la festa in maschera, e il momento in cui i due bulli della scuola sfondano la porta del cesso per stanare il ragazzo non ancora invisibile (ancora Kubrick ma in forma più svaccatamente giocosa), c’è la contraddizione tra un apparato che fa il verso ad un altro e l’intenzione di sfaldarlo in una versione più ludica e intimista.

Questa intensità la si percepisce nei momenti di pura invenzione ludica, nei proiettili di vernice sparati da Ivan, nella paura del vuoto provata da Stella, nei desideri inespressi di Michele e in tutto il segmento che segue i primi contatti con Stella, ma non viene portata fino in fondo, come se le intenzioni di sperimentare sulla costruzione del formato fossero superiori e più urgenti rispetto alla volontà di allinearsi allo sguardo soggettivo del trauma adolescenziale, tanto che se si prendono due sequenze molto simili legate ad una festa tra ragazzi, quella del film di Salvatores e l’altra filmata da Asia Argento per il suo “Incompresa” si rileva una differenza molto forte tra maniera e capacità intima e selvaggia di rendere la messa in scena vividamente interiore rispetto al dolore dell’adolescenza.

Più interessato a divertirsi con le contaminazioni trans-mediali, nel tentativo di inventarsi una versione europea dei cine-comic, con tanto di contaminazioni est-europe,  citazioni da Stalker e imprestiti Salgariani (tutto quel decor retrofuturista che fa pensare a “Le meraviglie del 2000“)  Salvatores, come gli capita spesso, si perde in un gioco del tutto personale tra tecnica e stile fermandosi un attimo prima che la superficie visiva possa diventare sguardo.

RASSEGNA PANORAMICA
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Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.
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