domenica, Dicembre 22, 2024

Já, Olga Hepnarová di Petr Kazda e Tomas Weinreb – Berlinale 66: Panorama

Cecoslovacchia, primissimi anni Settanta. Una giovane donna, la Olga Hepnarová del titolo interpretata dalla magnetica Michalina Olszanska, vive l’inferno. In famiglia si sente soffocare, non ha amici, subisce violenze fisiche e psicologiche da parte di alcune coetanee. A un tentativo di suicidio segue la scoperta del proprio orientamento sessuale, il che non coincide tuttavia con una vita più libera e serena. Olga è scontrosa, chiusa in se stessa, legge molto (soprattutto autori americani come Grahan Greene) e tiene un diario. Le sue giornate buie e raminghe terminano con un colpo di testa che la porta agli onori della cronaca. Nera.

Ispirato a una vicenda realmente accaduta alla quale uno dei registi, Tomas Weinreb, aveva già dedicato un documentario nel 2009 (“Everything Is Crap”), Io, Olga Hepnarová è la doppia opera prima – in quanto lungometraggio di finzione – che Wieland Speck ha scelto per aprire la sezione Panorama della Berlinale 2016. Il film ha molte frecce al proprio arco: l’ambientazione praghese vintage, il caschetto in stile Louise Brooks della protagonista, il tema lesbico e soprattutto la fotografia in bianco e grigio di Adam Sikora, a metà strada tra la nouvelle vague e l’Haneke del “Nastro bianco”. Elementi che concorrono a fare della pellicola un ottimo prodotto da festival (lgbt e non) oltre che da circuito cinematografico indie.

Dal punto di vista narrativo, Já, Olga Hepnarová procede implacabile e lineare, con un’attenzione alla «bella» inquadratura che cozza con i dolori della giovane protagonista. Il tema omosessuale affiora con apprezzabile nonchalance ma il vero fulcro del film, che nel finale brilla al calor bianco anche grazie ai memorabili monologhi della protagonista, è quello del bullismo e dei suoi capri espiatori, che Olga chiama con un termine tedesco: Prügelknaben. Il film si conclude come uno schiaffo in pieno viso, lasciandoci al contempo correi e possibili vittime. Come se la protagonista ci avesse «attaccato la sua malattia», nelle parole della Dorothy Vallens nuda, pesta e scapigliata di “Velluto blu”.

Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi è nato a Bologna nel 1976. Vive in Germania. Dal 2002 lavora in campo editoriale come traduttore (dal tedesco e dall'inglese). Studia polonistica alla Humboldt. Ha un blog intitolato Orecchie trovate nei prati

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