“Jafar Panahi era già stato condannato nel 2010 a sei anni di prigione; è quindi stato condotto nel centro di detenzione di Evin per scontare la sua pena”. É la versione di Massoud Setayeshi, portavoce della magistratura e si riferisce alla condanna inflitta a Jafar Panahi dodici anni fa, per il suo sostegno alle manifestazioni anti-governative. Della condanna per “propaganda contro il sistema”, in base alla quale non poteva lasciare il paese, né dirigere e scrivere film, il grande regista iraniano aveva scontato solo due mesi di carcere, successivamente rivisti con la libertà condizionale, revocabile in qualsiasi momento.
Il recente arresto dell’11 luglio, di cui abbiamo parlato da questa parte, è la conseguenza delle posizioni di Panahi, in difesa dei due colleghi incarcerati dal regime, per il sostegno ai manifestanti che protestavano per il crollo di un edificio nella città di Abadan, a causa di negligenza e gravissime responsabilità edilizie, disastro che ha ucciso 41 persone. I registi Mostafa al-Ahmad e Mohamad Rasoulof, firmatari di una lettera aperta insieme ad un gruppo di quasi 100 registi e membri dell’industria cinematografica iraniana, avevano sollecitato la deposizione delle armi da parte del governo, utilizzate per la violentissima repressione contro i manifestanti: “Ora che la rabbia del popolo per la corruzione, il furto, l’incompetenza, l’oppressione e la repressione, ha acceso l’ondata di protesta, noi chiediamo a tutti coloro che nelle unità militari sono diventati agenti dell’oppressore, di abbassare le armi e unirsi alla nazione“. Toni durissimi, veicolati sui social con l’hashtag #putyourgundown, che facevano eco alle precedenti dichiarazioni dell’Iranian Writers Center, dove alcuni scrittori avevano criticato aspramente la repressione delle proteste nel Khuzestan, provincia di cui fa parte la città di Abadan: “la verità può essere ascoltata solo da persone che hanno sofferto molto. Le persone che sono state sotto i proiettili, i manganelli e i lacrimogeni [….sono quelle] che stanno protestando”.
Secondo Adnan Tabatabai, CEO del Centro di Ricerche applicato, in partnership con Orient (CARPO), varie forme di protesta sono diventate fenomeno quotidiano in Iran. La crescita costante delle difficoltà socioeconomiche che la popolazione iraniana è costretta a sopportare è un fattore scatenante. Aumento dei prezzi per i generi di prima necessità, il crollo di un edificio e altri disagi trasformano le proteste in disordini sociali, affrontati nel modo peggiore da forze dell’ordine addestrate solamente a reprimere, non a contenere le rivolte oppure a rispondere in modo credibile ai cittadini. Il Khuzestan, come sottolinea Ali Fathollah-Nejad, autore iraniano ed esperto di scienze politiche, è il cuore delle nuove ondate di protesta, per svariate ragioni. Oltre alle negligenze socioeconomiche, politiche ed ecologiche della Repubblica Islamica, qualsiasi protesta in una zona ricchissima dal punto di vista delle risorse petrolifere, rappresenta evidentemente un problema per la sicurezza del regime. Ecco perché si è usato il pugno di ferro proprio in quelle zone.
Jafar Panahi è stato arrestato presso l’ufficio del procuratore di Teheran, quando ha cercato di informarsi sulle condizioni e sullo stato dei due colleghi incarcerati.
Ricordiamo che Rasoulof e Panahi, entrambi Orso d’oro a Berlino, sono stati a lungo vessati dal regime iraniano. Il primo con il sequestro del passaporto, la proibizione di girare a partire dal 2017 e con un anno di reclusione nel 2019. Il secondo con il divieto di abbandonare il paese a partire dal 2010, limitazione che lo ha costretto a lavorare in condizioni precarie e semiclandestine.
[Foto articolo – Di Cines del Sur Granada Film Festival from Spain – Jafar PanahiUploaded by Martin H., CC BY-SA 2.0 ]