Nel Settembre 2008 a Castel Volturno in provincia di Caserta, luogo, come purtroppo molti del sud Italia, le cui infinite potenzialità sono state fagocitate da un sistema malavitoso stratificato su molteplici livelli (primo e più distruttivo fra tutti quello della politica locale), viene compiuta, da una falange camorristica, all’interno di una sartoria, la tristemente nota strage che vide come vittime sei immigrati, di cui nessuno coinvolto in alcun modo con la criminalità organizzata.
Partendo dall’inammissibile episodio, Guido Lombardi, documentarista qui alla sua prima opera cinematografica, ricostruisce una storia che, seppure frutto di fantasia, potrebbe perfettamente riferirsi ai fatti che hanno condotto al massacro; portando sullo schermo, al contempo, una storia d’Italia contemporanea, che ha trovato fin’ora ben pochi narratori (ma Matteo Garrone, già nei novanta, raccontava l’immigrazione in film come Terra Di Mezzo ed Ospiti).
Yousuf, giovane africano dalle aspirazioni artistiche, arriva in Italia nella speranza di racimolare il denaro necessario all’acquisto di un macchinario utile alla realizzazione delle proprie sculture. Dopo un primo momento, in cui si dedica alla vendita di fazzoletti, si rivolgerà al losco zio Moses, che, prima trova lui un posto sottopagato presso un autolavaggio, poi lo farà diventare corriere della droga, introducendolo nel giro criminale.
Lombardi scruta con l’attenzione documentaria che gli è propria, i meccanismi interni alla malavita organizzata degli immigrati africani, in una Campania che poche volte al cinema è apparsa così fredda e livida: il traffico di stupefacenti, il contrabbando, la gestione della vendita ai semafori, la prostituzione, le relazioni con la camorra, tutto viene esposto con estrema lucidità e chiarezza cronachistica, non ritraendosi davanti ai particolari più controversi (la ragazza morta con gli ovuli pieni di eroina in corpo) ma senza mai arrivare alla crudezza concreta di quel Gomorra di cui Là-Bas (termine francese che indica un imprecisato luogo lontano, traducibile in laggiù) è stato visto come un corrispettivo all black.
A fronte di ciò, rischiando anche una certa retorica, mai però perdonabile come in questo caso, il regista riporta la realtà di un’immigrazione che tenta di mantenersi sana pur tribolando tra una politica nazionale repulsiva (la legge Bossi-Fini) e la guerra tra poveri innescata dalle stesse costole criminali. Illustrando, poi, un mondo sconosciuto ai più, fatto di culture, lingue, etnie, abitudini, completamente diverse le une dalla altre ma assimilabili solo perché “per gli Italiani siamo tutti uguali”; oltre che una disamina sulle infinite difficoltà dell’integrazione e sullo sfruttamento senza scrupoli.
Lombardi sceglie quindi una frontalità narrativa, che visivamente opta per un apparente impersonale distacco, pure mantenendosi sempre vicinissimo ai suoi personaggi in virtù di un uso pressoché costante dei piani medi, e congela le immagini con una fotografia desaturata che, accanto alla messinscena scarna e il profondo disincanto che lo anima, potrebbe condurlo dalle parti di un certo cinema d’oltralpe, di un Audiard o di un Kechiche. A questo si unisce l’interpretazione sentita e misurata dei protagonisti, che partecipa a fare di Là-Bas un opera prima come il cinema italiano produce sempre più raramente. I premi vinti e la nomination nel 2012 al David di Donatello a Lombardi come miglior regista esordiente (non fosse che il premio è stato vinto poi dal pessimo Francesco Bruni) sono meritatissimi.
Ottimo il dvd per qualità audio/video ma privo del tutto di extra.