domenica, Dicembre 22, 2024

La belle vie il racconto di formazione di Jean Denizot a Venezia 70

Ispirato ai fatti di cronaca che nel 2009 coinvolsero Xavier Fortin in un processo per aver rapito i propri figli dopo una dolorosa battaglia per la loro custodia, La Belle Vie è l’esordio nel lungometraggio per il Francese Jean Denizot, che ne firma anche la sceneggiatura insieme a Frédérique Moreau, già al lavoro come sceneggiatore nell’ultimo film di Laurent Achard, Dernière séance.
Di quei fatti Denizot mantiene solamente lo spunto iniziale senza avvalersi, se non in minima parte, delle testimonianze rilasciate dai figli di Fortin attraverso le  quali si è venuti a conoscenza  dei loro 11 anni passati con il padre, in alcune località della Francia inaccessibili dalla madre.

Ne La Belle Vie i due giovani Pierre (Jules Pelissier) e Sylvain (Zacharie Chasseriaud) li vediamo condurre una vita semplice fatta di pastorizia in una zona rurale della Francia e a fianco del padre Yves (Nicholas Bouchaud), al di là del lavoro quotidiano, che sembra procedere con uno spirito comunitario legato ad una scelta ben precisa, comprenderemo molto presto che questa distanza dai comfort di una vita normale ha un prezzo molto alto.

I ragazzi, costretti evidentemente a continui spostamenti, non possono avvicinarsi ai villaggi al di sotto della zona montana, non possono farsi vedere, non si confrontano da anni con una qualsiasi forma di vita sociale, e forse non si sono mai confrontati con nessuno, tanto che una delle prime sequenze del film è un vero e proprio tentativo temporaneo di fuga in sella ad un cavallo, per visitare uno dei villaggi più vicini, infilarsi ad una festa, guardare le ragazze e finire coinvolti in una rissa con i nativi del luogo.

Denizot si tiene lontano dalla descrizione dei fatti che precedono la vita dei due ragazzi, lasciando sospese le motivazioni che hanno costretto il padre ad una scelta simile, tanto che il loro rapporto viene filmato attraverso il contrasto generato dall’armonia positiva con cui conducono una vita fuori dal mondo, una sensazione di crescente cattività da parte dei figli per non averlo visto, quel mondo, e le costanti raccomandazioni del padre, che lascia sempre aperta la possibilità di una fuga volontaria da parte dei figli.

Non è quindi il trauma del distacco o uno strappo violento che interessa al regista francese, quanto la dinamica di un racconto di formazione in un contesto estraneo al mondo per come lo conosciamo.

Ne La Belle Vie tutto sembra sospeso e potrebbe benissimo ambientarsi negli anni ’70 delle comuni, Denizot sceglie la strada di una descrizione semplice e arcaica del rapporto con la natura e la mette al centro degli incontri tra la minorenne Sylvain e la giovane Gilda (Solene Rigot), la ragazzina incontrata in riva al fiume che circonda l’area dove il ragazzo si nasconde con il padre.

Cattività, attaccamento alle proprie radici e il desiderio di gestire la propria vita, una sovrapposizione che ricorda alcuni film Francesi recenti sulle radici disfunzionali della famiglia; pensavamo a My Little Princess e alla relazione più dura descritta da Frédéric Videau nel suo  A moi seule dove lo spazio di una prigionia coatta, a un certo punto si confonde con quello della famiglia naturale.

Denizot, all’apparenza meno estremo, si ancora alla leggerezza di un racconto declinato al presente e lancia forse qualche esca di troppo, per esempio quando sorprende due volte i ragazzi che leggono L’Huckleberry Finn di Mark Twain, ma si tiene ben lontano da qualsiasi didascalismo. L’immagine finale, che rigorosamente lascia fuori le motivazioni del passato e mette i puntini di sospensione al posto di un futuro indicibile, ci è sembrata molto commovente.

 

 

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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