Salce alla regia, Parise e Bevilacqua alla sceneggiatura, Morricone ad inizio carriera: nomi che basterebbero da soli a fare la fortuna del film. Ma c’è di più, un Luigi Tenco alla sua unica prova d’attore, che sembra recitare sè stesso: anarchico, pugni in tasca e pochi sorrisi, anzi, nessuno.
“Io sono uno che sorride di rado” diceva.Era il ’62, cinque anni dopo il suicidio. Con Rossella è l’unico personaggio positivo del film,un ragazzo solido, ribelle, pulito, e senza speranze, solo di lui si fida la ragazza (Donatella Turri al suo esordio,un mix tra Penelope Cruz e Audrey Hepburn in confezione casalinga,sparita in seguito lasciando poche tracce). Giuliano (Luigi Tenco) deve”partire per fare la guerra …” così strimpella alla chitarra la Ballata dell’eroe di de André (sembra sia stato proprio lui ad imporla a Salce). Nel ’62 si serviva ancora la patria per diciotto mesi in caserma,mentre colonnelli impettiti e marziali dirigevano simulazioni di scontro a fuoco su spiagge solitarie,e magari dietro un blindato parcheggiato a riva c’erano due ragazzi che si baciavano.
Rossella è una dattilografa,60 battute al minuto,anni luce dalle strabilianti performances di “dattilografia agonistica” della Rose di Régis Roinsard, brillante divertissement a sfondo satirico sul tema del lavoro femminile. Qui restano il nome dell’eroina e la vena satirica, ma non sono affatto Tutti pazzi per Rose. La nostra Rossella è il simbolo di un pezzo di storia italica, quella dura a morire del femminicidio, in gradazioni varie, fisico o morale, non fa molta differenza. Salce scrive una commedia con perfetto dosaggio d’ironia e realismo per dire come andavano le cose quando ancora si poteva sorridere, anche se amaramente, di un certo costume sociale.
Rossella ha deciso di cercar lavoro. Un gesto d’indipendenza, il suo, potrebbe vivere al sicuro sotto l’ala protettrice della famiglia, anzi, è quello che vorrebbero tutti. Dal padre del tipo: “tu non esci più di casa”, alla madre che cade in deliquio davanti al figlio omosessuale che si è ossigenato i capelli (è delicato, bisogna capirlo!) alla sorella devotamente sottomessa al marito, fino al severo cognato, nostalgico del Fascio e con qualche pensierino inespresso sulla cognatina giovane e carina. Solo il fratellino gay la capisce, ma può ben poco. Famiglia-tipo, di quelle che saranno polverizzate dal ’68, allora era nella media. Naturalmente, a sera, tutti intorno al nuovo altare di casa, da Carosello a Lascia o raddoppia la vita era tutta lì. Rossella, ottimismo e ingenuità (ma non dappocaggine) nei grandi occhioni fiduciosi, s’imbarca in un’Odissea senza fine nella calura estiva, ma la sua è una Roma che non sa di vacanze romane, benchè la sua ostinata freschezza gareggi con quella della collega americana. Incontrerà una serie di mandrilli, palazzinari e mostri metropolitani di varia umanità, che non cercano altro da una bella ragazza o, quando va bene, la usano come sponda per le loro nevrosi da schizzati o manie di grandezza da frustrati, e poi la mollano con tante promesse e il conto da pagare. All’ingenuità iniziale subentra allora amarezza e stoica rassegnazione a guardare la vita com’è, senza illusioni e imparando a difendersi.
Il destino di Rossella e Giuliano converge in un incontro casuale, nessuno dei due ha niente da offrire all’altro, se non quel bacio dietro il tank fermo sulla riva e una bella canzone triste: … Ma lei che lo amava aspettava il ritorno d’un soldato vivo,d’un eroe morto che ne farà?…
Salce ha l’intelligenza di non offrire finali, né consolatori né distruttivi, solo la corsa di Rossella e Giuliano in riva al mare sotto il fuoco nemico, un siparietto surreale, esilarante, ha qualcosa della sublime follia di Stranamore. E un titolo, La cuccagna, che cominciò allora a circolare come parola chiave. C’erano dentro la rabbia e la derisione, l’impotenza e l’indignazione dell’italiano-non-medio, quello che non si accomodava la sera, felice,d avanti al televisore. Quello che, come Giuliano, diceva in uno sfogo rabbioso, non potendone più: “Allora non resta che ammazzarsi”. Salvo, poi, farlo davvero, come Luigi Tenco.
L’edizione Rarovideo è un buon recupero dal punto di vista dell’immagine senza nessun artefatto ma forse con alcuni problemi sull’audio 2.0 non sempre pulitissimo. Ottima la dotazione Extra che include un racconto intimo e personale di Emanuele Salce e di Andrea Pergolari sul regista. Booklet curato da Bruno di Marino.