Una distrazione, questione di un attimo, e le vite di Javier e Amanda cambiano per sempre. Esistenze che ora si dividono tra un “prima” e un “dopo”, tra come sono andate le cose e come avrebbero dovuto. Tutto per un incidente che nessuno dei due poteva evitare. Ci vorrà molto tempo per elaborare la morte del figlio di quattro anni.
La morte corre sulle acque di una piscina nel quinto della filmografia di Matías Bize, e le tracce del suo passaggio imprimono il senso delle azioni di Javier e Amanda, esseri mutati, mai più come prima.
Dunque non risulta mai conciliatorio sul piano dei sentimenti, nonostante la delicatezza del registro che permette di cogliere le sfumature lievi del loro amore. Incatenato e reso impossibile dalla presenza di quell’ombra che offusca i loro cuori, ossessiona Amanda con l’idea che la felicità di coppia sia un delitto efferato: la colpa sarebbe quella di cancellare lo spazio occupato da quel vuoto, assenza che diviene presenza.
Javier tenta, rimane saldo al suo legame con la sua lei, tenta di riportarla a sé, anche offrendo la prospettiva di un futuro differente, ma insieme. Ma il freno rimane sempre tirato, precludendo il superamento del dolore per la perdita e la possibilità di impegnarsi ancora una volta, come quando erano fidanzati, dall’inizio.
“La memoria del agua” rende ancora più limpido il fatto che non esista un meccanicismo, un ingranaggio dei sentimenti, non un tasto che si possa premere per riavvolgere il nastro. Tutto segna, in un modo o nell’altro, tutto rimane impresso nell’acqua, elemento vitale di cui siamo fatti, specchio nel quale riflettere la nostra interiorità.