Rimane saldo in sala il secondo film come regista di James DeMonaco, complici il deserto agostano e la settimana scarsa che ci separa dall’invasione di una manciata di anteprime estive con il compito di ravvivare la programmazione dei multiplex. The Purge, questo il titolo originale, vede collaborare nuovamente Ethan Hawke con DeMonaco , dopo il precedente Staten Island prodotto da Luc Besson nel 2009 e il remake di “Assault on precint 13” diretto da Jean-François Richet, scritto nuovamente per il cinema dallo stesso DeMonaco a partire dalla sceneggiatura originale di John Carpenter.
Nel 2022 gli Stati uniti possono dirsi “risorti” con un livello di disoccupazione ridotto al minimo e un tasso di criminalità quasi inesistente. Per mantenere questo stato di benessere, quelli che si fanno chiamare “I nuovi padri fondatori” stabiliscono una ricorrenza, della durata di 12 ore e chiamata “Sfogo Annuale“, durante la quale tutte le leggi anti crimine vengono sospese, gli ospedali e la polizia interrompono i loro servizi e ogni cittadino Americano può sfogare tutto l’odio represso liberando qualsiasi tipo di violenza. Ethan Hawke è James Sandin, marito devoto e padre di famiglia, venditore di alto livello per sistemi di sicurezza e d’allarme. Sono proprio questi che consentiranno alle persone con uno status economico superiore di rimanere al sicuro durante la notte dello Sfogo, un dettaglio politico su cui DeMonaco si sofferma più di una volta inserendo da subito il dubbio che il benessere dei nuovi Stati Uniti d’America si basi sulla soppressione forzata dell’indigenza e della povertà. Già da queste premesse è chiaro il rovesciamento della città-prigione di “Escape from New York“. Ma qualcosa, nel meccanismo famigliare ben oliato dei Sandin si incepperà e l’orrore penetrerà anche nella loro casa.
Sono più di una le suggestioni Carpenteriane alle quali DeMonaco attinge per il suo “La notte del giudizio“, certamente “Distretto 13” è il film più esplicitamente citato, con questa relazione tra lo spazio esterno e l’avamposto dietro cui proteggersi, ma anche per l’impostazione alternata del ritmo di montaggio, che in più di un momento ricorda certa cronometria Carpenteriana.
Su questa base DeMonaco, innesta un piccolo “digest” sull’invasione dello spazio quotidiano ricalcando quell’estetica della violazione che parte da The Penthouse (un attico sopra l’inferno) il film di Peter Collinson che alla fine dei sessanta già mandava in corto circuito l’architettura dei nuovi e apparentemente impenetrabili complessi urbani con la violenza caotica del mondo “fuori” per come sarà descritta qualche anno dopo da Ballard, passando ovviamente per Arancia Meccanica in un modo a volte anche insistito, basta pensare al contrasto prettamente Kubrickiano tra un certo lirismo del Ralenti e la violenza, su cui DeMonaco ritorna in alcune scene di distruzione all’interno della casa, ma anche negli stessi titoli di testa, dove questo stesso contrasto viene evidenziato dall’occhio glaciale dei sistemi di controllo a circuito chiuso mentre questi registrano episodi di violenza incontrollata, sullo sfondo sonoro di una trascrizione orchestrale del Claire de Lune di Claude Debussy.
Sono note di superfice, esche visive facilmente riconoscibili, saccheggi da un archivio storico ormai ridotto a informazione digitale, a cui vengono aggiunti elementi più recenti, uno per tutti quel “surrealismo” della maschera, origine di straniamento e orrore, che è presente in film come The Strangers di Bryan Bertino; ingredienti mescolati con quella filosofia seriale a micro-budget tipica dei prodotti che escono, come questo, dalla factory di Jason Blum.
Ma al di là di alcune sequenze che evidenziano il funzionamento del congegno in modo prettamente cronometrico, a nostro avviso l’interesse del film sta altrove ed è in quel filtro della visione che è l’immagine dei sistemi di sorveglianza, vero e proprio “reality” sul mondo che consente anche di “bucare” la cecità della notte.
Il figlio più giovane dei Sandin, Charlie (Max Burkholder), costruisce un piccolo cyborg ottenuto da un mini veicolo radiocomandato e una vecchia bambola rotta, sul cui spazio oculare viene innestata un videocamera wireless per la visione notturna. Con un paio di occhiali che alludono ai nuovi dispositivi a realtà aumentata, i prossimi Fortaleza brevettati da Microsoft per il multiplaying interattivo, il ragazzino può osservare tutto a distanza, in una relazione connettiva con lo spazio circorstante, sta infatti sempre rannicchiato in uno spazio angusto, che sia naturalmente quello della sua cameretta, o anche i loculi dove rifugiarsi quando i Sandin subiranno l’attacco; da questa fortezza, costruisce la sua visione virtuale e affronta lo spazio circostante radiocomandando il suo piccolo androide fatto in casa.
È uno stimolo improbabile certamente, quasi astratto, ma che depista tutta l’impalcatura citazionistica di grana grossa del lavoro di DeMonaco (quasi sempre la peggiore e la più banale, in questi casi) portandolo, anche solo per brevi segmenti, verso direzioni inaspettate, quelle di un piccolo film sulla visione notturna che sta sostituendo ciò che conosciamo, o che credevamo di conoscere, del mondo “fuori”.