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La Religiosa di Guillaume Nicloux: verso le qualità personali

Guillaume Nicloux adatta il noto romanzo di Diderot, riducendo quasi a zero le istanze esplicitamente anti clericali del testo originale e lavorando principalmente sul concetto di libertà. La Religiosa esce nelle sale italiane il prossimo 5 settembre

Acceso dai colori vivi di Yves Cape, direttore della fotografia per buona parte dei film di Bruno Dumont, l’adattamento del romanzo di Denis Diderot realizzato da Guillaume Nicloux, come ha avuto modo di dire lo stesso regista, riduce quasi a zero le istanze esplicitamente anti clericali del testo originale lavorando principalmente sul concetto di libertà. Se la versione girata da Jacques Rivette nel ’65 si inventava, rispetto al romanzo incompiuto, il suicidio di Suzanne Simonin accentuandone le istanze politiche, Nicloux preferisce la via più individualista e positiva di una progressiva autoaffermazione del desiderio.

E’ il 1760, e Suzanne, figlia sedicenne di una famiglia borghese viene mostrata nel fiore della sua età come una ragazza piena di entusiasmo per la vita e con un amore molto forte per la musica. Per una questione di convenienza viene spedita in convento. Dopo un primo strenuo rifiuto durante la cerimonia per accogliere i voti, che Nicloux accentua come un desiderio di coerenza con la propria spiritualità, Suzanne sarà obbligata una seconda volta dalla madre ad affrontare la clausura, dopo averle rivelato di essere una figlia illegittima. La nuova vita passerà attraverso il sadismo di Suor Christine (Louise Bourgoin) e la perversione della Madre Superiore di Saint Eutrope (Isabelle Huppert), fino al momento della fuga.

Ci sono molte anime nel film di Nicloux, girato con semplice e solido rigore, contrappone una ritualità schematica e crudele ad un desiderio di ribellione carnalmente puro; piccole nature morte, oggetti di preghiera, un cilicio bruciato, un quadro del Cristo dalla dirompente forza erotica. Ma sopratutto un corpo come quello di Suzanne che grazie alla presenza di una straordinaria Pauline Etienne rimane a metà tra l’ingenuità estatica della Thérèse di Cavalier (era la bellissima Catherine Mouchet, erotica anche lei nel nutrirsi delle sue espettorazioni) e un desiderio di raccogliere i frutti di una vita piena, tanto che Nicloux la filma con una naturalezza folgorante priva di qualsiasi malizia che non sia quella della natura mentre ha una spalla scoperta oppure quando indossa la veste bianca per la notte lasciando intravedere alcune trasparenze.

Ed è probabilmente l’erotismo come forza vitale e anarchica che attraversa tutte le figure del film, a volte con un gusto per il gioco che emerge anche dai contesti più duri. E’ Suor Christine, interpretata da una carnalissima Louise Bourgoin, memore quasi delle sorelle di Borowczyk, senza ovviamente quella furia iconoclasta e incredibilmente somigliante all’Anna Karina del film di Rivette, trattiene dentro di se un’alterità erotica potentissima e sarà lei che costringerà Suzanne a spogliarsi e a subire le penitenze corporali più dure a causa del suo incessante desiderio di poter trovare piena realizzazione solo fuori dal convento.

Nicloux mantiene in questo senso un amore per gli oggetti e il dettaglio cosi come per i volti, assolutamente rigoroso, ma allo stesso tempo ne rompe l’assetto liberando un gioco fatto di numerosi registri e trasformando il romanzo di Diderot da un’espiazione negativa ad una bizzarra storia di formazione. Non è un caso che Nicloux stesso, nelle interviste rilasciate, si sia riferito esplicitamente a Jean Genet e a Edith Stein per ispirare due sentimenti diversi di prigionia, di santità e di erotismo, una perfetta letizia che trova compimento solo in un desiderio di riaffermazione dei propri valori, naturalmente religiosi nel senso di un accordo più onesto tra la propria natura e Dio, fuori da qualsiasi gerarchia.

Si parlava quindi di una certa complessità di registri, ed è la sorprendente virata del film che mette al centro il convento di Saint Eutrope, coordinato dalla madre superiora interpretata da Isabelle Huppert, dove vige un dialogo complesso tra le sorelle e la madre, fatto di attenzioni, gelosie, morbosità. La madre si infila nel letto di Suzanne, cerca un contatto che non può avere, si mette al centro di uno strano triangolo dove oltre a Suzanne, è coinvolta la sofferente Suor Thérèse, interpretata da Agathe Bonitzer, volto acerbo e inquieto, già alle prese con un racconto di cattività.

Nicloux non indulge mai nell’ammiccamento morboso, né osserva clandestinamente questi corpi e queste anime dal buco della serratura, al contrario partecipa empaticamente come se dovesse raccontare una nuova versione di Justine, rimane vicino alle figure e ai volti più controversi (entrambe le madri superiori sono raffigurate da un punto di vista che le rende ora dominanti, ora grottesche, ora mostruose, ora assolutamente fragili) e non teme di avvicinarsi, sopratutto nell’ultimo segmento, alla leggerezza della commedia o del romanzo di appendice, come in tutta la sequenza della fuga. La Nuova Suzanne si sveglia in un letto fresco di biancheria, esce sul balcone della camera e quasi come se fosse uscita da un sogno, osserva un giardino all’orizzonte, quello delle “proprie qualità personali” (Voltaire).

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Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.
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