È un universo dalle sfumature delicate e impercettibili quello tratteggiato da David Trueba ne La vita è facile ad occhi chiusi. È un microcosmo fatto di persone semplici, quasi anonime, che tacite cercano una qualche forma di espiazione o silenziose fuggono da qualcosa.
Ispirandosi alla vera storia del professore Juan Carrión Gañán, come ci ha raccontato Javier Càmara in conferenza stampa, che usava le canzoni dei Beatles per insegnare l’inglese e del suo viaggio in Almeria per conoscere John Lennon, il film è il racconto di questo percorso, tanto interiore quanto fisico, che si snoda tra le strade di una ricerca dai mille volti, e che ha come sfondo un regime franchista sussurrato, lievemente percepito, in un aleatorio deserto povero di “vita” ma carico di sentimenti.
Bisbigliata è anche la figura di Lennon, sagoma lontana che appare per un’istante, umanizzazione catartica di un’idea, di un racconto, di una canzone, di un desiderio da afferrare. Il centro nevralgico dell’intero film, vincitore di sei premi Goya, risiede dunque nei suoi tre protagonisti (Antonio – Javier Camara, Belén – Natalia De Molina e Jaunjo – Francesc Colomer), nello spirito di amicizia che li lega, nella dimensione intima e privata delle loro vite che aspirano a una qualche forma di cambiamento.
La pellicola è abitata da eroi comuni pronti a scegliere il proprio destino nonostante tutto, nella visione rarefatta di una fotografia – opera di Daniel Vilar – che ha il sapore retrò della polvere, di una nostalgia che assomiglia a un eterno presente.
La vita è facile ad occhi chiusi narra la normalità rifuggendola; racconta il passato e la realtà, forse in maniera un po’ troppo retorica e patinata; mette alla prova una qualche forma di ribellione in un’evoluzione che è allegoria di sensibilità e monito di speranza.
Un film in definitiva genuino e dolce, merito anche della profondità poetica della colonna sonora opera di Pat Metheny e Charlie Haden, al quale però manca quel guizzo in più, quel senso di rottura forte con l’apologia stessa del viaggio, della storia e con quell’istinto di libertà anticonvenzionale tanto anelato e decantato, da non riuscire fino in fondo a librarsi di significanza tra le immagini.