11 giugno 1984, Enrico Berlinguer muore a Padova, dopo un malore che l’ha colpito in pieno comizio elettorale quattro giorni prima. La voce di Berlinguer si apre con quel comizio, avvertiamo la stanchezza dell’uomo, nella voce e negli occhi. Si ferma a bere e parla ancora. Uno stacco e si torna al 1981, a Torino, folle oceaniche riprese da film amatoriali, una fiducia in quei volti che facciamo fatica a ricordare. Ventinove anni da quel giorno di giugno, alcune ombre che nessuno si preoccupa più di fugare su quella morte, su quei soccorsi troppo tardivi.
Berlinguer era un uomo di altri tempi, oggi incomprensibili, lontani e irriconoscibili, eppure anche quelli difficili. Ma altri. Parlava di “questione morale”, Berlinguer a Torino, con la sua voce chiara, il suo accento sardo. Credeva e costringeva a credere che la ricerca della felicità passasse di là. E invece si presero altre strade e si scoprì che alla meta non c’era la felicità.
Nella sezione Fuori Concorso a Venezia70, Mario Sesti replica quel titolo, La voce di Pasolini , del 2005, quando risvegliò il ricordo più che assopito di un altro profeta dimenticato o, al massimo, normalizzato e santificato dalla retorica propensa a costruire santini. Un poeta apocalittico e scandaloso, perché innocente “in un paese orribilmente sporco”. Quasi nello stesso giro di anni, 1975 Pasolini, 1984 Berlinguer, l’Italia perse uomini che l’avrebbero guidata con onestà verso il nuovo millennio.
Ascoltare oggi la loro voce emoziona e commuove, dà a chi ha visto il dopo la misura della perdita, il senso profondo di uno smarrimento collettivo.
Ci chiediamo perché, e dove sono quelle bandiere, quel mare di rosse bandiere e di fiori e di lacrime e di addii, che cantavano i Modena City Ramblers al suo funerale. Ma forse è proprio così la storia eterna dell’uomo, e finchè ci saranno bandiere pronte a sventolare ad altri venti, ci sarà sempre il singolo uomo armato del suo pensiero a ricordarci come poteva essere il mondo.
Le scelte stilistiche di Sesti e Teardo, la saturazione dei colori, la grana fotografica, la colonna sonora che trasforma i rumori in suoni, tutto tende, afferma il regista, “ a rendere visibile un mondo lontanissimo dalla smaterializzazione on line della politica di oggi”.
Spezzoni da La commare secca o Comizi d’amore si alternano ad immagini di repertorio da cinegiornali d’epoca e filmati amatoriali, per venti minuti si torna a respirare una dimensione oggi sconosciuta di vita collettiva.
Pensiero dominante nella post-visione è: Perché?
Con un po’ di tristezza, quella che segue alle domande senza risposta.