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Las niñas Quispe di Sebastián Sepúlveda a Venezia 70: terra senza pane

Prodotto da Fabula di Juan de Dios e Pablo Larraín, Las niñas Quispe è il primo film di finzione del Cileno Sebastián Sepúlveda

Sebastián Sepúlveda è arrivato alla regia dopo un percorso di vita difficile; esule dal Cile ci torna negli anni ’90 per studiare storia, si avvicina successivamente agli studi di cinematografia, realizzando una serie di cortometraggi e un primo film a carattere documentaristico, prodotto nel 2008 e intitolato “O Areal“,  in parallelo alla sua lunga attività di montatore cominciata dieci anni prima e il cui ultimo titolo è Joven y alocada la fantasia pop-erotica diretta da Marialy Rivas.

O Areal” era la documentazione e lo studio antropologico di una comunità dell’Amazzonia, stanziata in un territorio isolato da qualsiasi forma di urbanizzazione; la conservazione delle tradizioni cultuali viene compromessa in seguito alla costruzione di un ponte che metterà in comunicazione le città circostanti con la comunità stanziale.

Las niñas Quispe continua in un certo senso su questa linea di ricerca; ispirato ad un fatto di cronaca Cilena dei primi anni ’70, si ambienta in un complesso montuoso isolato nel Cile del Nord; le sorelle Quispe dedite da anni alla pastorizia, vivono separate dalla città mandando avanti una forma di matriarcato operoso iniziato da Maria, la sorella maggiore recentemente scomparsa.

In questo deserto roccioso, le visite che normalmente ricevono per la vendita del formaggio e di tutti i prodotti ricavati dall’allevamento delle capre cominciano a diradarsi come un terribile segnale premonitore; sarà Juan Sicardini (Segundo Araya) un vecchio che fa visita alle sorelle abitualmente, ad informarle di una legge promulgata da Pinochet che rende illegale la pastorizia in quelle zone. Con un senso della fine non dissimile dall’ultimo film di Bela Tarr, Justa, la maggiore delle tre sorelle, cerca di metterle in guardia da queste notizie, come se fossero chiacchere, evidenziando l’isolamento vissuto fino a quel momento dalle figure maschili, condizione che trova il suo apice in una sequenza splendida dove le donne, dopo aver accolto un secondo viandante  probabilmente in fuga dalla dittatura, dormiranno tenendolo a distanza e separando la loro area con una corda tesa, alla cui estremità viene attaccato un campanaccio.

Sebastián Sepúlveda, grazie anche alla splendida fotografia di Inti Briones, delinea una rappresentazione del deserto tra realtà ed astrazione, rivelando una progressiva simbiosi tra le tre sorelle e il paesaggio naturale, come se questo fosse il riverbero di una simbologia ancestrale di cui solo loro conoscono i significati rituali; dalle prime sequenze di lavoro quotidiano fino a quella, splendida, del turbameto di Luciana per l’arrivo di Fernando, filmato in riva ad un ruscello con una densità pittorica davvero notevole, Sebastián Sepúlveda dimostra di avere un controllo rigorosissimo della materia, supportato da scelte molto difficili, non solo legate alla riduzione estrema dei dialoghi, ma al tentativo di scolpire, letteralmente, la durata di un tempo rituale con un’immagine dalla fissità incompromissoria.

L’assimilazione delle tre sorelle alla natura si compirà con un epilogo che è allo stesso tempo reazione ad un presente apocalittico e simbiosi con la natura; liberate alcune capre, uccise altre, le sorelle Quispe si daranno la morte impiccandosi su una roccia, insieme al cane; in una sequenza che ha la compostezza pittorica di cui parlavamo e che offre il senso di una dimensione spirituale.

Lo stesso Sepúlveda ha parlato di “fantasmi” nel descrivere alcune scelte fotografiche legate al modo in cui ha filmato le tre sorelle nel deserto roccioso, utilizzando spesso dei controluce e accentuando gli aspetti più ieratici, quasi a confondere la loro apparenza con le sfumature cromatiche della pietra, aspetto che si collega a tutta la parte di “O Areal” che studiava appunto la compresenza dei morti nell’attività cultuale quotidiana della comunità  GuajarÁ¡.

Con più di un riferimento alla crudeltà severa della natura nel Las Hurdes Bunueliano, tra realismo estremo ed astrazione appunto, Las niñas Quispe è il film di un autore da tenere d’occhio; prodotto da Fabula di Juan de Dios e Pablo Larraín è una conferma della presenza importante e vitale del nuovo cinema Cileno.

 

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Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.
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