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Le dernier coup de marteau di Alix Delaporte – Venezia 71, Concorso

Alix Delaporte, di nuovo a Venezia dopo il debutto del 2010 inserito nella Settimana della Critica. Torna in concorso a Venezia 71 con Le dernier coup de marteau, la nostra recensione

Già presente a Venezia con il suo debutto “Angele et Tony”, inserito nella programmazione de “La settimana della critica” del 2010, Alix Delaporte torna in laguna per il concorso ufficiale con il suo secondo lungometraggio. Gli attori sono gli stessi, Clotilde Hesme è Nadia, una donna gravemente ammalata, Gregory Gadebois interpreta Samuel, un direttore d’orchestra di fama internazionale giunto vicino a Montpellier per allestire la sesta sinfonia di Mahler con l’orchestra locale. In comune hanno un figlio, Victor (Romain Paul) che vive con la madre e non ha mai visto il padre.

Della separazione dei due la Delaporte non ci offre molti dettagli, così come non indugia sulle cause della malattia di Nadia, né sul contrasto tra la vita suburbana a Camargue di Victor e della madre, rispetto alla fama di Samuel. Più vicina ai sentimenti e alle reazioni dei suoi personaggi, la regista francese riduce il peso ingombrante del racconto calandosi in mezzo agli eventi e costruendo una partitura “affettiva” proprio nel senso strettamente musicale di “affektenlehre“, quello che Igor Stravinskij nella “Poétique musicale” definiva come “elemento di comunicazione con l’Essere”.

La relazione tra Victor e il padre si apre proprio a questo orizzonte, sviluppando un percorso di ascolto legato al rapporto tra musica e comunicazione dei sentimenti; mentre la tensione del ragazzo oscilla tra un possibile futuro nel gioco del calcio, il dolore per la condizione della madre e l’ostinazione a voler costruire un rapporto di presenza reciproca con il padre, quest’ultimo gli lascerà alcuni segni per interpretare la realtà basata sull’ascolto musicale affettivo, un’indicazione percettiva più che altro, insita nella capacità di affrontare un percorso con partecipazione e intensità.

In questo senso, la formazione di Victor passa attraverso un confronto costante con l’espressione dei sentimenti, che Alix Delaporte cerca di visualizzare attraverso gesti e azioni, riducendo, come si diceva, il valore esplicativo della parola; la dolce relazione tra victor e Luna (Mireia Vilapuig), figlia dei vicini di casa spagnoli, mostrata attraverso il non detto e alcune immagini di gioia del cuore, ed ancora la malattia di Nadia osservata come un riverbero sui volti degli altri o al contrario come una presenza invisibile che diventa bruscamente tangibile attraverso le reazioni di Victor. Ci sono due sequenze speculari e opposte in questo senso che spiegano bene il metodo di lavoro di Alix Delaporte. La prima è quella dove Miguel (Víctor Sánchez), il figlio minore della coppia Spagnola, chiede a Nadia se i suoi capelli sono veri, tanto che la donna gli fa provare la sua parrucca, innescando un ideale abbraccio collettivo intorno a lei che trasforma l’imbarazzo in una comunicazione giocosa e amorevole, la seconda ha una polarità inversa e coinvolge Victor successivamente al dono che le ha fatto la madre; un motorino usato che il ragazzo schianterà con violenza nell’acqua del mare, come reazione dolorosa ad una malattia di cui non riesce a parlare.

Il cinema di Alix Delaporte è sorprendentemente vicino al cuore, ma allo stesso tempo mantiene uno spirito enigmatico che si avvicina al modo in cui Claire Denis trasforma la percezione del reale biforcandone il senso; se anche l’attitudine delle due autrici può sembrare in contrasto, la prima così lieve e vicina alla formazione dell’affettività, la seconda più oscura e pessimista, ci sembra molto simile il modo in cui la parola viene ridotta ad una funzione essenziale per amplificare la forza possibile dell’immagine.  Anche dove avrebbe potuto forzare il significato in una direzione metaforica, con il riferimento esplicito alla coda del Finale della sesta di Mahler, Alix Delaporte preferisce lavorare sul flusso degli eventi, lasciando aperti alcuni stimoli e non avviandosi mai verso una conclusione risolutiva. Ecco perchè la scrittura del film ci è sembrata musicale nel senso più vivo del termine, per la ricerca semplice e allo stesso tempo rigorosissima che la regista francese fa delle assonanze e delle dissonanze, cercando di stabilire un dialogo tra immagini e gesti anche distanti tra di loro, come quella splendida sequenza dove Luna rasa a zero i capelli di Victor avvicinando il suo volto a quello della madre, come gli dirà il padre durante il loro primo pranzo insieme.

La forza di “Le dernier coup de marteau” è allora quella di non cominciare e non finire mai il racconto, un cinema continuamente in medias res.

RASSEGNA PANORAMICA
Voto
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Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.
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