Gelsomina (Maria Alexandra Lungu) ha dodici anni, è una bambina forte e oltre a controllare le tre piccole sorelle, riesce a gestire tutti i processi lavorativi dell’azienda a conduzione famigliare, potrebbe essere l’erede adatta per l’azienda di Wolfgang (Sam Louwyck), il padre di origini tedesche. In mezzo alle regole degli alveari e al lavoro duro come apicoltrice che Gelsomina manda avanti senza batter ciglio ci sono gli scontri dei genitori; Wolfgang e Angelica (Alba Rohrwacher) sono sempre in lotta e le figlie in un certo senso sembrano essersi abituate. Questo mondo si spezza quando nella realtà di tutti i giorni irrompe la promessa di un concorso televisivo dove è possibile vincere un premio per famiglie. La conduttrice è Milly Catena (Monica Bellucci), fata catodica e bianca che dimostra immediata predilezione per Gelsomina; mentre la bimba è desiderosa di partecipare al concorso, Wolfgang non ne vuole sapere e preferisce concentrarsi sulle complesse trasformazioni che l’azienda dovrà subire per le norme imposte dall’unione europea, perchè il rischio possibile è quello di una chiusura forzosa. Ma proprio in questo momento arriva Martin, ragazzino di origini tedesche affidato attraverso un programma di reinserimento; potrebbe essere il braccio maschile di nuova generazione che manca alla famiglia. Sullo sfondo, il rapporto con il mondo dei vicini, grandi spargitori di veleni nei terreni circostanti.
Secondo lungometraggio per Alice Rohrwacher a tre anni di distanza da “Corpo Celeste”, “Non è un film autobiografico” ha detto la regista in conferenza stampa, “è molto familiare e personale, perchè racconta un contesto che conosciamo bene, ma non è autobiografico, anche se le api e il miele è stato ed è il lavoro di nostro padre. Il film è nato quindi dal desiderio di raccontare il territorio dove sono cresciuta, tra lazio e umbria, avevo una gran voglia di lavorare a casa, e in questo senso le api fanno parte di questo. Inoltre, la famiglia a doppio sangue è un contesto che conosco molto bene, ma la storia non è autobiografica in senso stretto”
Tra realtà e fiaba, il film può certamente essere letto come la storia di un re con quattro figlie e una regina, ma come ha specificato Alice “il fatto che ci sia un legame con un lavoro vero, riporta tutto molto vicino alla realtà, una fiaba materica che lascia molta libertà interpretativa allo spettatore di scegliere uno dei due mondi, e lasciare spazio allo spettatore non è cosa da poco in un momento in cui ce n’è così poco a disposizione”
Sulla doppia dimensione realistica e magica ha parlato anche Monica Bellucci: “Sono molto felice di aver lavorato con Alice, la sua ricchezza, la sua sincerità, la sua pulizia, la sua forza sono caratteristiche che si sentono nel film e per me questi sono aspetti irrinunciabili; mi ha dato la possibilità di fare un ruolo che è una ciliegia nella torta, ma una gran bella ciliegia; Gelsomina e la sua ricerca dell’illusione si incrocia con questa sorta di fata che forse è stanca di rappresentare un sogno, e quando toglie la maschera dimostra la voglia di essere vera, un momento difficile per la bambina che rappresenta il crollo delle illusioni ma allo stesso tempo, una dimensione magica […] Inoltre quando si lavora con i bambini, c’è un momento di grande verità e freschezza, fa bene al cuore. […] Tutti quanti cerchiamo la meraviglia nella vita, anche attraverso il cinema, credo che in quello di Alice ci sia un filo conduttore, segno che anche lei sta cercando qualcosa”
Le Meraviglie si muove attraverso un interessante contrasto linguistico che per Alice è il tentativo di “dare spessore a questa famiglia attraverso una trama, per questo abbiamo utilizzato la lingua per rappresentare la loro storia, non tanto una lingua estemporanea ma con un passato e una storia, perchè il modo in cui loro parlano ci racconta chi sono e da dove vengono, come hanno imparato quella lingua. C’è l’urgenza di comunicare, dove la lingua non è semplicemente un suono ma diventa un luogo tra il padre e la madre, che è il francese, tra il padre e Cocò (Sabine Timoteo) che è il tedesco, e dove c’è un padre che non parla bene ne il francese ne il tedesco; un aspetto importante perchè abbiamo dato al personaggio una dimensione senza età, come fosse un bambino che capisce le cose istintivamente. Il linguaggio è spesso una prigione, sopratutto quando non puoi trovare una via per esprimerti; la dimensione linguistica è quindi molto importante perchè è eminentemente narrativa; non l’abbiamo sfruttata solo perchè ci piaceva o perchè ci faceva comodo. Ci racconta i luoghi di questi personaggi”
Alba Rohrwacher ha parlato di un immaginario comune, quello condiviso con la sorella “è stato naturale lavorare con lei, sorprendentemente naturale. Mi sono accorta di quanto condividere l’immaginario con la persona con cui si crea un film renda le cose più facili, è stata in questo senso un’esperienza coinvolgente, eravamo anche preoccupate perchè pur essendoci sempre sostenute e aiutate a vicenda, ma da lontano, questa volta abbiamo provato a stare vicine e a fare un percorso insieme; credo che il bilancio sia positivo. È un mondo questo, che riguarda la nostra memoria e la nostra educazione e che ci lega in maniera profonda; ha creato un terreno lavorativo tra regista e attore immediatamente accessibile”
Alice ha confermato questa sintonia: “io immagino una cosa e non ho bisogno di spiegarla ad Alba”
Sul lavoro con Maria Alexandra Lungu Alice ha speso parole molto belle: “è stata grandissima, anche come apicoltrice! abbiamo chiesto ad Alexandra se voleva fare il film dopo averla cercata tanto, perchè eravamo sicuri che quando l’avremmo vista, l’avremmo per forza riconosciuta. Eravamo un po’ abbattuti perchè vedevamo molte ragazze che non erano quello che cercavamo; e Alexandra / Gelsomina si è fatta trovare per ultima, dopo aver visto e provinato 1500 persone; quando le abbiamo chiesto se voleva partecipare, abbiamo parlato con i suoi genitori spiegando loro come avevamo intenzione di lavorare; se il film va male, ci ha detto la madre, avrà imparato un lavoro serio come quello dell’apicoltore, quindi tanto male non le farà!”
Su questo approccio diretto, a stretto contatto con la vita, Alice è tornata a parlare quando le hanno chiesto quale fosse il cinema che l’ha maggiormente influenzata: “le influenze sono tante e riguardano non solo il cinema, ma anche molta letteratura e altre forme di espressione, la vita in genere, quindi voglio dire: Rossellini”
Le meraviglie è un film che parla di sconfitta ma anche di perdono, perchè come ha detto Alice “con moltissima cura e con molta intenzione non ci sono ne buoni ne cattivi ma forse solo un personaggio che sta sul limite, ovvero Adrian (Andre M. Hennicke) che rappresenta comunque il passato di questa famiglia; ma rispetto al presente non possiamo dire di nessuno che sia buono o cattivo; ci sono solo due possibilità, proteggersi oppure esporsi, e Wolfgang per esempio accetta di esporsi per amore della figlia, dimostrando che spesso chi si espone fallisce, ma questo film ha una grande tenerezza verso il fallimento, una tenerezza autentica, dove il desiderio è quello di riuscire a guardare le proprie contraddizioni e quelle del nostro paese senza esaltarle ne nasconderle, ma guardandole appunto con tenerezza. È il potere dell’immagine che ci consente di osservare più cose su più livelli contemporaneamente e di raccontare questa stratificazione e contraddizione anche in una sola immagine”