Gare Du Nord, la stazione parigina viene attraversata dalla possibilità in potenza della vita. In uno spazio di transito Claire Simon filma semplicemente la morfologia della stazione e il modo in cui questa cambia a contatto con il passaggio delle persone. In questo calderone di eventi, Ismaël sta preparando la tesi di dottorato in sociologia proprio sugli intrecci della “piazza”, per questo motivo passa buona parte del suo tempo alla Gare Du Nord per raccogliere interviste e materiale documentale. Legata alla stazione da una forma ipnotica del tutto diversa è Mathilde (Nicole Garcia), anche lei legata all’università come insegnante di Storia, si è presa una pausa importante per combattere contro un tumore. Joan, altro personaggio della stazione, lascia dietro di se la carriera accademica per preferire il lavoro come agente immobiliare. Questi sono solo alcuni dei personaggi che popolano la stazione francese, la Simon, qui al suo ottavo film dopo un esordio ormai risalente ai primi anni ’90 e una buona parte delle sue produzioni legate al cinema documentario, mette insieme la sua esperienza per un film che sta a metà tra ricostruzione finzionale e attitudini documentali; in questo contesto apolide, inserisce alcuni elementi visionari e spiritualisti, legando il concetto di passaggio alla percezione sacrale dei luoghi per come è sopravvisuta tra i cittadini di etnia Africana, quelli che durante il film asseriscono di vivere in uno spazio parallelo a quello dei morti, che in una stazione come la Gare Du Nord, se stai attento, puoi riuscire a vedere.